Sono alcuni dei piccoli desaparecidos ucraini, sono Guz, Sasha, Anna-Maria. Il più piccino non ha tre anni, il più grande quasi dodici. Ma non sono “spariti”, «Sono stati fatti sparire» precisa un investigatore dell’Aja, come altri 16.226 minorenni, in gran parte deportati in Russia o nei territori occupati dalle forze russe.. Ed è proprio Vladimir Putin ad aver firmato i decreti che autorizzano a separare le madri dai figli, per rendere adottabili i bambini e cercare di rieducare i più difficili, come Sasha, magari affidandoli alla brigata dei macellai ceceni, come dimostrano foto e video pubblicati anche da Avvenire.
Come racconta Avvenire Olexander, 12 anni, per tutti Sasha, era a Mariupol nel primo mese di guerra ed era stato preso con la forza dai militari di Mosca insieme alla giovane madre Snizhana col pretesto di farli evacuare. Ma poi, una volta arrivati in un campo di filtrazione, erano stati separati senza neanche riuscire a salutarsi un’ultima volta. Il bambino era ferito a un occhio e gli avevano comunicato che, dopo le cure in un ospedale, sarebbe finito in un orfanotrofio in attesa di venire adottato da una famiglia russa.
«Siamo stati caricati su un Kamaz (un camion di fabbricazione russa, ndr) – racconta il ragazzino- e portati al campo di filtrazione a Bezimenne», un borgo sul mare a metà strada tra Mariupol e il confine russo, che dista 30 chilometri. Lì la madre è stata interrogata, «e poi mi hanno detto – racconta Sasha – che lei non aveva superato i controlli e che le sarei stato portato via. Non ci hanno neanche permesso di vederci». Niente giri di parole: «Nessuno ha bisogno di te. Avrai una nuova famiglia», gli dissero. Nel frattempo Liudmyla, la nonna di Oleksandr che vive in Polonia, è riuscita a mettersi in contatto con il nipote grazie a un messaggio che lui era riuscito a mandarle su Facebook dal territorio occupato, un momento prima che gli venisse impedito di accedere a Internet.
Il portale ucraino per i bambini scomparsi viene aggiornato a mano a mano che affluiscono informazioni credibili. Pochi giorni fa, ad esempio, un altro adolescente desaparecido è tornato nel villaggio d’origine, facendo salire a quota 308 il numero dei ragazzini allontanati dalle forze russe e rientrati avventurosamente a casa. A coordinare le deportazioni, ammantate da amorevoli cure in nuove famiglie di provata fede putiniana è Maria Lvova-Belova. Commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia della Russia, già il 14 luglio 2022 aveva annunciato che «un totale di 108 “orfani del Donbass” che hanno ricevuto la cittadinanza russa saranno assegnati a nuovi genitori in sei regioni della Russia». Lei stessa, raffigurata dai media come donna pia e devota alla causa dei più indifesi, il 21 settembre ha fatto sapere che il suo «figlio adottivo di Mariupol» aveva appena ricevuto la cittadinanza russa. Per dare l’esempio Lvova-Belova avrebbe “adottato” almeno otto bambini ucraini.
«La linea della propaganda russa – denuncia Bill Van Esveld, direttore associato per i diritti dell’infanzia di Human Rights Watch – è che lo fanno per proteggere i bambini. Dicono: li stiamo aiutando, sono stati trascurati dai loro genitori, sono stati abbandonati, e ora ci prenderemo cura noi di loro”. Molti di questi bambini hanno una famiglia “e sono stati portati via senza che i genitori ne fossero mai informati e ora cercano disperatamente di riaverli».
Nel novembre 2022 Amnesty International aveva pubblicato un rapporto sulle deportazioni e sui trasferimenti forzati di civili ucraini, bambini compresi. Il mandato di cattura per Putin e Lvova-Belova «è un segnale importante, sia per l’Ucraina che per il resto del mondo – commenta Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International – Significa che le persone sospettate di aver commesso crimini di diritto internazionale in Ucraina andranno incontro ad arresti e processi, a prescindere da quanto siano potenti»
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