Tra le iniziative, anche un docufilm di Giorgio Verdelli atteso per settembre; inoltre, al libro è abbinato uno spettacolo teatrale di musica e racconti, che debutta domani sera – 9 marzo – a Fasano, Brindisi; ancora, un vinile con inediti di prossima uscita e una serata speciale, Jannacciami, il 3 giugno, agli Arcimboldi di Milano, nel giorno del suo compleanno
Da Racconti Minimi di Andrea Pedrinelli, un ricordo commosso.
…Ecco, io mi ritengo fortunato ad avere conosciuto Enzo Jannacci, che negli ultimi anni mi ha detto che si sentiva più aggredibile e quindi faceva venire fuori meno la sua timidezza, certe scontrosità del carattere. E mi disse: “Io voglio, finché posso, dare. A Giorgio (Gaber, ndr) piaceva piacere. A me piace dare, provare a dare qualcosa”.
Il giorno del funerale di Enzo, a Sant’Ambrogio, a Milano, io non sapevo cosa mi sarei trovato davanti, sapevo solo che volevo esserci. Sono arrivato un’ora prima e c’era la piazza – conoscete Sant’Ambrogio, non è una vera piazza – zeppa di gente, così zeppa che alcuni VIP non sono riusciti a entrare, perché pensavano fosse il solito funerale con i posti riservati. Mentre – e faccio il nome perché ci tengo, perché è un segno di eleganza e di cultura e mi piace ricordarlo – Renzo Arbore era presente un’ora e mezza prima per trovare posto e dare l’addio a Enzo Jannacci. Io ho fatto finta di niente: se mi bloccano dico che sono giornalista, tanto non mi siedo, rimango in piedi, non porto via posto a nessuno. Sono arrivato fino di fianco all’altare. Ho visto chi c’era. C’era la gente. Fuori c’erano i barboni. C’era un barbone con un enorme registratore e continuava a mandare le canzoni di Jannacci. Quando il feretro è partito per il Famedio del Cimitero Monumentale, c’è stata molta gente normale che ha gridato “Ciao! Ciao Enzo!”. Enzo non vendeva dischi. Quando Jannacci faceva le sue trasmissioni televisive, avveniristiche, a volte incomprensibili, le mandavano alle tre del mattino. Jannacci era scomodo, eppure c’era la gente al suo funerale. A me piace salutarvi con una canzone che conoscono in pochi, che fa parte di uno dei suoi ultimi lavori e che secondo me dimostra quanto anche lui sia stato un poeta, come De Andrè, come Gaber, come altri, e come però dentro la sua poesia ci fosse la realtà concreta, quella che ha fatto sì che il suo funerale non sia stato uno spettacolo per la televisione ma un abbraccio della gente comune, anche se quella gente probabilmente non aveva mai comprato un suo disco, visto che non li vendeva.
“Una vita difficile, questa è la mia vita. La nostra vita. Buona per nessuno, come fosse sospesa lassù nel cielo, con due ali di cartone. Ma se una vita è insipida, contrariamente anche a quello che uno desidera, provi con l’indifferenza: no. Provi con la pietà: no. Provi con le bugie, e anche i passeri che ti osservavano sono scappati via. No, una vita difficile è come fosse dipinta negli occhi di un bambino, un bambino bellissimo che chiede l’elemosina sul ciglio di una strada. Questa è la mia vita, la nostra vita. Buona per nessuno, questa è la mia vita”.
E questa è la vita di Enzo Jannacci, che avrebbe voluto come epigrafe “medico, fantasista”.
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