Per parlare di periferie, di simboli, punti di riferimento, architetture industriali è doveroso conoscere la storia, la nascita e le motivazioni con cu si formano, hanno un loro sviluppo dissimile dalla Milano che ancora oggi consideriamo “centrale”.
Nel lontano 1550, erano iniziati gli imponenti lavori per la costruzione della cinta bastionata e Milano si era data dei nuovi e precisi confini, ben più estesi di quelli un tempo decisi sul circuito medievale. Col passare dei secoli, le varie cascine e i vari borghi nati a ridosso delle mura avevano dato vita ad un unico Comune, detto dei Corpi Santi, nome che rimandava alla pratica di inumare, ai tempi dei primi cristiani, i corpi dei Martiri (appunto Santi) al di fuori delle mura cittadine. Una antichissima prassi, che interessava il vasto territorio extramurario e aveva così assunto questa denominazione.
“All’indomani delle battaglie risorgimentali, Milano contava 184.920 abitanti, la maggior parte dei quali (e precisamente 130.000) risiedeva nella parte più antica della città, quella delimitata dalla cerchia dei navigli, cosicché al di fuori di essa, e fino alle mura spagnole, la città era scarsamente abitata e urbanizzata, prevalendo prati e orti coltivati: insomma, una vera “periferia”, nota lo storico Mauro Colombo.
Il Comune milanese guadagnava grosse cifre con il dazio sui consumi, che portava annualmente nelle casse pubbliche circa tre milioni di lire. Il dazio era una antica gabella che colpiva, secondo percentuali diverse, le merci che “entravano” in Milano, cioè che venivano fatte passare attraverso le mura spagnole che segnavano egregiamente il confine del territorio comunale e quindi daziario.
Le porte, o varchi, o barriere che voler si dica, erano le seguenti:
Ticinese o Cicca (coi caselli del Cagnola del 1880),
Lodovica,
Vicentina,
Romana,
Vittoria o Tosa,
Monforte (coi caselli del Tormenti del 1889),
Venezia (coi caselli del Vantini del 1828),
Principe Umberto, a servizio della Stazione centrale,
Nuova (coi caselli dello Zanoia del 1813),
Tombone di san Marco (solo per merci su acqua),
Comasina o Garibaldi (coi caselli del Muraglia del 1826),
Tenaglia o Volta (coi caselli del Beruto del 1880),
Sempione o Arco della Pace (coi caselli pensati dal Cagnola, ma realizzati solo nel 1838),
Magenta o Vercellina (i cui caselli furono i primi ad essere demoliti insieme alle mura spagnole),
Genova o macello pubblico (coi caselli del Nazari del 1873),
Tombone di via Arena (solo per merci su acqua).
Ma il Comune, quello dei Corpi Santi, non era soggetto a dazio e lì tutto costava meno. Comperare ad esempio a Milano un quintale di farina voleva dire pagarne il prezzo più la tassa applicata in sede daziaria per la sua introduzione in città.
I nodi da scioglier per l’annessione al Comune di Milano del Comune Corpi Santi furono numerosi e combattuti. Con la legge 22 dicembre 1797 fu disposta la soppressione del comune dei Corpi Santi e la sua aggregazione al comune di Milano, che, a quel tempo, era diviso in quattro municipalità, ciascuna comprendente due rioni: la porzione di territorio dei Corpi Santi di Porta Comasina con Porta Tenaglia e di Porta Nuova doveva essere aggregata alla municipalità dei rioni III e IV; la parte dei Corpi Santi di Porta Orientale con Porta Tosa e quelli di Porta Romana con parte di Porta Vigentina unita alla municipalità dei rioni V e VI; mentre i Corpi Santi di Porta Ticinese con Porta Lodovica, parte di quelli di Porta Vigentina e quelli di Porta Vercellina vennero assegnati alla municipalità dei rioni VII e VIII. I Corpi Santi dovevano inoltre mutare la loro denominazione in Circondari esterni del comune di Milano (legge 2 nevoso anno VI).
Il provvedimento legislativo non venne però applicato, né sorte diversa ebbero in questo senso le leggi di ripartizione territoriale che si succedettero fino al 1801, nelle quali i Corpi Santi erano indicati perlappunto come Circondario esterno del comune di Milano (comunicazione prefettizia 1802).
Il comune dei Corpi Santi continuò pertanto ad avere un’amministrazione separata da quella di Milano, nonostante le reiterate richieste di unione avanzate dal consiglio comunale della capitale.
Le ragioni degli amministratori del comune extramurario appaiono recepite nel compartimento territoriale del Regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805 a), dove i Corpi Santi sono descritti come comune autonomo suddiviso nelle seguenti porte: Porta Comasina con Porta Tenaglia; Porta Nuova; Porta Orientale o Porta Riconoscenza; Porta Tosa con Malnoè e Cassina delle Rottole; Porta Romana con Porta Vigentina; Porta Marengo o Ticinese con Porta Lodovica e Ronchetto delle Rane; Porta Vercellina con Portello del Castello o di Foro Bonaparte. Comune di I classe, con i suoi 13.572 abitanti, i Corpi Santi si trovano inseriti nel cantone I del distretto I di Milano.
Già l’anno seguente il consiglio di stato predispose comunque un decreto per l’unione dei Corpi Santi al comune di Milano (decreto 4 febbraio 1806), che non ebbe però la sanzione da parte del viceré (Pagano 1994). L’autonomia amministrativa del comune extramurario venne meno pertanto solo due anni più tardi, quando, ad attuazione del sovrano decreto 14 luglio 1807, con cui si accordava ai comuni murati l’aggregazione dell’area circostante le mura, anche a Milano fu disposta l’unione di un Circondario esterno formato da 35 comuni soppressi, tra cui i Corpi Santi, che a quel tempo contavano 17.357 abitanti (decreto 9 febbraio 1808 b).
Osserva Colombo “L’ex comune dei Corpi Santi era decisamente diverso dal comune di Milano: era agricolo, scarsamente urbanizzato, e dal punto di vista viario decisamente arretrato. Le strade erano prevalentemente sterrate, salvo le principali d’accesso alla città, e per nulla o scarsamente illuminate. Tuttavia accanto alle cascine, avevano ormai da qualche anno iniziato a spuntare oltre alle fabbriche, anche le case degli operai, grigie, uguali, tutte in fila” E nacque la Grande Milano.
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