L’83% delle PMI sta avendo difficoltà a selezionare figure professionali specifiche, soprattutto commerciali, tecnici specializzati per la produzione, operai. Per il 40% è dovuto anche al pregiudizio dei giovani che lavorare in una piccola realtà sia meno qualificante rispetto a una multinazionale e che si possa fare meno carriera
«Per festeggiare concretamente i lavoratori dobbiamo costruire il lavoro di domani, con scenario e testa nuovi. Senza persone non esistono le aziende e la difficoltà di inserimento di nuovo personale e il mismatch non sono un trend ma un problema per la società.
A questo si uniscono i temi di sempre e su cui dobbiamo lavorare insieme alle Istituzioni per trovare una soluzione, si tratta dei provvedimenti in materia di cuneo fiscale, lavoro, inclusione, politiche sociali e sempre più attenzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Dobbiamo contribuire tutti a un cambiamento strategico, solo così le persone ne avranno beneficio e si sentiranno al centro».
Paolo Galassi, presidente di A.P.I., interviene così in merito all’imminente festa del Primo Maggio. Per l’Associazione delle Piccole e Medie Industrie di Milano, Monza, Pavia, Lodi e Bergamo, la giornata dedicata alla celebrazione del lavoro e dei lavoratori, rappresenta, infatti, un momento per fare un bilancio e osservare più da vicino le dinamiche di un mercato del lavoro in rapida e continua evoluzione.
I numeri parlano da soli. Da una breve indagine dell’Ufficio Studi di A.P.I., su un campione di 100 PMI industriali, l’83% ha risposto che, da tempo, l’impresa sta avendo difficoltà a selezionare un profilo professionale specifico e che il 70% ha intenzione di assumere personale nei prossimi due anni.
Ma quali figure professionali cercano le PMI? Il 29% commerciali, il 19% tecnici specializzati per la produzione, il 17% operai, l’12% sviluppatori, project manager IT e software engineer, per il restante 23% altri profili qualificati tra management, comunicazione e organizzazione.
Tra le criticità emerse dal sondaggio, una riflessione profonda da fare riguarda il sistema scolastico del territorio che per il 60% degli intervistati non è adeguato a formare le “figure professionali” che le aziende cercano. Giudizio positivo solo per il 15% delle PMI mentre il 25% non risponde, una percentuale alta che denota la mancanza di conoscenza.
Ma cosa frena i giovani nel lavorare nelle PMI? Innanzitutto, per il 40%, l’idea che sia meno qualificante rispetto a una multinazionale e che si possa fare meno carriera; per il 21% la narrazione delle figure professionali delle PMI è arcaica e la non conoscenza di quella dell’imprenditore e il suo ruolo positivo nella società; per il 16% la poca conoscenza della realtà aziendale; per il 14% gli insegnanti non conoscono le PMI e fanno fatica a orientare adeguatamente gli studenti a cui si sommano i (pre)giudizi familiari e cerchia di amici/conoscenze infine solo per il 9% non si incontrano domanda e offerta.
E, quindi, come si può compensare il gap tra richieste delle PMI e mancanza di figure professionali?
«Le imprese – continua Galassi – devono cambiare look, investire sempre di più sulla conciliazione vita – lavoro e anche sull’immagine, soprattutto raccontandosi e quindi sulla nuova narrazione delle figure professionali – così i giovani possono identificarsi e capire – infine, sui punti di forza del lavorare in una PMI, e sono tanti!».
Dalla fotografia scattata dall’Ufficio Studi di A.P.I., emerge che, per compensare il gap, alla poca chiarezza del valore del titolo di studio tecnico o professionale vanno affiancati gli orientatori scolastici (36%); collaborando con gli istituti tecnici, le università e/o enti di formazione del territorio (26%); va valorizzata la figura dell’imprenditore e il ruolo positivo nella società ma le PMI devono investire anche sul brand e sulla comunicazione per farsi conoscere, anche attraverso employer branding (21%). Un aspetto importante è anche legato alla politica che deve essere più vicina e attenta alle PMI e investire anche maggiori risorse per la formazione professionale (17%).
I punti di forza nelle PMI però sono tanti. Secondo le imprese, lavorando in una PMI è possibile vedere tutto il processo aziendale, non ci sono “silos”, i reparti sono interconnessi e flessibili (43%); il processo decisionale è veloce (22%); si acquisiscono più competenze rispetto al ruolo che si ricopre, l’ambiente favorisce l’autorealizzazione e la condivisione di valori e l’attenzione alle risorse umane è molto alta per il 19% e i livelli retributivi sono buoni per il 16%.
«Dobbiamo ridefinire i profili professionali e le carriere per allinearli alle aspettative moderne, dobbiamo avere luoghi lavoro dove le persone stiano bene – la risposta è in noi stessi, come leader delle organizzazioni – imprenditori, scuole, istituzioni, famiglie e insegnanti insieme – conclude Galassi -. Lavorando bene i successi arrivano. Abbiamo bisogno di persone che vogliano imparare e abbiamo visto tanti ragazzi cambiare quando hanno iniziato a lavorare, perché il lavoro li ha resi consapevoli di poter disegnare la propria vita.
Dobbiamo innescare una rivoluzione e avere il coraggio di abbandonare la tradizione se non va! I giovani devono però credere in sé stessi e nelle imprese, accettando la sfida di lavorare in una PMI e, spero, anche di fare le imprenditrici e gli imprenditori!».
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