Ci sono due tende nella cronaca meneghina di questi giorni. Una stava davanti alla Statale come protesta contro il caro affitti. L’altra è stata luogo di un orrendo reato, una violenza sessuale contro una senza tetto diversamente abile. Due tende e due giovani donne. Il simbolo di una generazione che a Milano ci vive senza che la città la accolga davvero. Ne riflette con noi Responsabile per le politiche abitative e decentramento del coordinamento cittadino di Milano di NOI MODERATI:
“Scusate se la prendo larga, ma questa è una questione vitale: per capire la provocazione del titolo dobbiamo capire cosa rende una città tale. Non è che ogni gruppo di persone forma una città. Le città esistono se ci sono tre elementi: le case, chi le abita e la volontà di essere comunità. A Milano, in nome di una ecologia ideologica e nemica della realtà abbiamo smesso di costruire le prime, deciso che i secondi erano troppi e, di conseguenza, perso ogni senso di comunità. A Milano si viene per lavorare, avere successo, essere liberi. Non per essere una comunità. Questo ha portato, in dodici anni di sinistra al potere, ad avere sempre meno partecipazione alle elezioni, sempre meno case con costi umani e sempre più investimenti speculativi.
In caso qualcuno volesse sapere a cosa porterà tutto questo, guardi Venezia. Là c’è un conto alla rovescia collegato col Comune. Segna il numero di residenti. Ed è sempre più basso. A Venezia, per ovvie ragioni, non si può più costruire. A Venezia vivere è meno comodo che sulla terra ferma. E negli anni (gran parte dei quali di governo della sinistra) la comunità si è persa. Oggi la città, meravigliosa come sempre, è a metà tra il museo diffuso e il più grande bed and breakfast del mondo. Milano sta rapidamente correndo in quella direzione. E il segnale sono i giovani. Sempre di meno quelli che vivono Milano. Certo, la sera tutti sui navigli, ci mancherebbe. Ma quanti metteranno su famiglia qui? Quanti investiranno su una città che non gli concede nemmeno una stanzetta tutta per loro?
Oggi questo fenomeno è solo all’inizio e questo lo rende ancora gestibile. Il problema, comunque, non è solo di amministrazione. I giovani stessi mi paiono rassegnati. E questo spezza il cuore. Certo, ogni tanto riempiono la città per protestare. Ma sembrano coreografie vuote. Anche perché non lo fanno mai per se stessi. Seguono le mode, le battaglie che vanno di moda oltre oceano. Ma quando parlano di clima io ho il forte sospetto che si riferiscano a un problema più grande. Questa generazione, i figli della crisi e della pandemia, sentono che il futuro gli è stato rubato prima che nascessero. E non pensano che la soluzione la troveranno in una comunità.
In molti faranno al rivoluzione coi piedi, andandosene. Altri si faranno trasportare dalla vita. Qualcuno si alzerà e ci proverà. Il nostro ruolo deve essere quello di smettere di pensare a ieri e cominciare a concentrarci sul domani. È un invito a tutti gli amici di centrodestra: basta con la nostalgia. Abbiamo un futuro da costruire. Non per noi. Non per i nostri genitori. Ma per i nostri figli. I quanto meno dobbiamo motivarli perché ritrovino la voglia di lottare. Prima che anche la Grande Milano finisca come le Varesine: il ricordo di un luogo dove ci siamo tanto divertiti che svanisce lentamente nel tempo”
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,