I racconti di Capitan “U” 1947: “Quella faccia da angioletto che fece arrabbiare i comunisti del ’68 “

Cultura e spettacolo

di  Umberto Napolitano

Quello con la faccia da angioletto sono io a 19 anni, non male, eh?… Ma non fatevi ingannare, in realtà ero una capa tosta da poco arrivato a Milano proveniente da Torino dopo essere stato espulso da tutti gli istituti tecnici per manifestazioni e casini vari da me creati contro i professori rei di non adeguarsi a tempi che mutavano, rimanendo arroccati a metodi e pregiudizi frenanti a favore di un presente ormai in fase di inarrestabile retrocessione verso il passato più remoto. A dire il vero erano arrivati in mio soccorso gli studenti universitari per appoggiarmi e integrarmi nel loro progetto rivoluzionario con il bene placet del partito comunista, ma evidentemente avevano mal interpretato gli intenti di un giovanotto libero come il sottoscritto che aborriva qualsiasi tentativo di manipolazione. Per cui a 18 anni, un mese e un giorno, il tempo necessario per ritirare la patente di guida, con la mitica 500 rossa acquistata con le mance delle mie esibizioni (i soldi ufficiali dovevo portarli tutti in casa come si usava allora) e 20.000 lire in saccoccia imboccai l’autostrada per Milano all’avventura, e vai!… Ma a Boffalora, a meno di 30 km dall’ambita meta, la sfiga con una mira infallibile centrò la cinghia della dinamo lasciandomi in panne. Il soccorso stradale intervenne ed in autostop raggiunsi il traguardo: il cabaret di via Canonica che, mi avevano detto, cercasse artisti esordienti. La mia audizione davanti al mitico Franco Nebbia, titolare del cabaret, fu uno spasso.

“Tu chi sei, cosa vuoi?” mi disse Franco fissandomi dritto negli occhi – “Sono un cantautore in cerca di lavoro” – e lui con espressione seria “Per caso vieni da Torino?” – ed io con cadenza tipica, con uno sguardo di sfida – “Perché si sente, ne?” – e li scoppiò in una risata fragorosa e con l’aneddoto del nostro incontro mi presentava ogni sera causando l’ilarità del pubblico, ilarità che si trasformava ben presto in ammirazione quando con la mia chitarra iniziavo cantando “The Masters Of War” di  Bob Dylan , tradotta dal grande cantautore Ivan Della Mea, e presentando a seguire le mie composizioni che trattavano argomenti seri di un mondo in cerca non solo di denunce, ma anche e, soprattutto, di proposte… e così nacque “Chitarre Contro La Guerra” che feci ascoltare subito ai colleghi che si esibivano con me su quel palco, a Mariangela Melato, a Sandro Massimini e al regista Enrico Vaime che curava il tutto e che mi dette il suo ok, consigliandomi di non cambiare nemmeno una virgola. Piacque anche a Gian Maria Volonté e alla sua compagna Carla Gravina, assidui frequentatori e miei fans, che la ascoltarono nella cena di routine dopo lo spettacolo e nella quale ero sempre da loro invitato: ma come era buona la pasta e fagioli di mamma Velia, la fedele moglie di Franco Nebbia, sempre accanto a lui nelle sue mille battaglie. Ed una sera accadde il miracolo che la vita ti concede almeno una volta nel suo corso: incuriosito dal mio successo col pubblico, evidenziato da un articolo sul Corriere della Sera, fui ascoltato dal grande produttore Nanni Ricordi, della storica famiglia, e che nella sua scuderia annoverava anche Luigi Tenco, Dario Fo e sua moglie Franca Rame. Immediatamente mi fece ingaggiare dalla casa discografica Jolly Saar e fui iscritto al Festival Delle Rose che si teneva ogni anno all’Hotel Hilton di Roma, dove in compagnia di tanti artisti famosi come Gianni Morandi, I Pooh, Lucio Dalla e un esordiente Albano, cantando appunto “Chitarre Contro La guerra” in coppia con Carmen Villani, vinsi il premio della Critica Europea, entrando di conseguenza anche nelle Hit internazionali.

In men che non si dica divenni anche un idolo di “bandiera” e un giorno fui invitato dal mio produttore a casa sua, una casa bellissima, con servitori, posate d’argento… un lusso che non avevo mai visto, che mi ammaliava ma che nel contempo mi creava soggezione, imbarazzo… dubbi. Assicurandomi un futuro artistico di primissimo piano mi fu proposto di scrivere da quel momento canzoni che avrebbero seguito una linea ben precisa, linea che dovevo far mia con margini decisionali abbastanza limitati: errore!!!  Una capa tosta come la mia, uno spirito libero poteva mai accettare tale castrazione psicologica e morale? No di certo e in modo educato, ma perentorio, rinunciai e mi defilai dando vita ad uno scontro che ancora, a distanza di più di mezzo secolo, non si è ancora placato. Fui immediatamente bandito e si chiusero la maggior parte delle porte che contavano. Riuscii ad andare a Sanremo nel 1967 come autore con la canzone “Il cammino Di Ogni Speranza” interpretata da Caterina Caselli e Sonny&Cher, nella quale con tristezza preannunciavo la fine della speranza di un sogno di grandi cambiamenti che presto si sarebbe trasformato in fallimento… il fallimento del ’68.

Mi ritirai per un certo periodo, meditando la mia rivincita per poi riapparire a metà anni ’70, come autore e interprete di canzoni apparentemente “facili”, appoggiato solo dalle nascenti Radio Libere che mi girai a tappeto per tutta l’Italia, senza fermarmi mai, e che mi permisero di entrare quasi sempre in classifica e portare avanti il mio cammino, duro, ma ricco di soddisfazioni e di Hit cantate da me o da altri interpreti nazionali ed internazionali che potete ritrovare nel web alla voce Umberto Napolitano. Ed ogni volta che entravo in classifica o partecipavo a un Festival di Sanremo (ci arrivavi attraverso giurie inflessibili solo per meriti) pensavo con soddisfazione alla bile e incazzature che procuravo a chi aveva cercato di eliminarmi con una daspo, evidentemente inefficace per la capa tosta, nata a Brescia, ma di origini chiaramente partenopee … e chi ci fotte a noi, eh eh!

Purtroppo, i bei giochetti sono divertenti ma non infiniti. Nel 1989, dopo aver scritto il mio album più bello, “Al Mio Caro Pianeta Terra (dieci piccole storie)” dove anticipavo temi ecologici ancora attuali, ricevetti un nuovo “invito”, quello di rientrare nei ranghi del figlio prodigo che torna sui suoi passi se volevo promuovere quanto di buono avevo creato e realizzato, dato che da solo non avrei più potuto sopravvivere artisticamente con le Radio Libere, che ormai si stavano estinguendo, assorbite da Network con politiche aziendali rigide e diverse: ed io come risposi? …  Mi guardai in torno, vidi un attaccapanni, mi portai due dita all’altezza delle corde vocali come per prenderle e le indirizzai verso l’attaccapanni dicendo: “Queste sono le mie corde vocali, mi ritiro e vi mando tutti a fare in …  immaginate! … mi ritirai definitivamente ed iniziai nuove attività che mi dettero ulteriori soddisfazioni, per poi andare in ”pensione” nel 2012 e ricominciare con la canzone “Volerò” a fare musica solo per me e per i pochi fans che riesco ancora a raggiungere, ma che mi seguono fedeli sul web.

Al prossimo racconto!                                                                                                                                           

 Capitan U 1947

2 thoughts on “I racconti di Capitan “U” 1947: “Quella faccia da angioletto che fece arrabbiare i comunisti del ’68 “

  1. Ciao Umberto!
    Molto INTERESSANTE IL tuo racconto, possi solo dire grazie di averlo condiviso. Purtroppo questa maledetta guerra sanguinosa non si ferma.
    IL Cammino di ogni Speranza e una delle mie canzoni favorite!
    Io non mi stanco di condividire CHITARRE CONTRO LE GUERRE!
    Saluti da New York
    Felice (Phil)

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