Africa sostituibile

Esteri RomaPost

Sostituzione etnica sì o no, l’invasione africana dell’Europa è certa. Per una semplice questione di vasi comunicanti, l’Europa sta troppo bene, l’Africa troppo male e sono troppo vicine. L’Unione Europea a 27 stati ha 448 milioni di abitanti, l’Africa a 54 stati, 1,4 miliardi, tre volte di più. Nel 2050 saranno 4 volte; 600 milioni di europei vs 2,5 miliardi. In più un terzo degli abitanti dell’Ue, 200 milioni, sarà africano. Da un po’ di tempo, cercano di incontrarsi il meno possibile non sopportandosi a vicenda mentre a spintoni tutti gli europei spingono l’Italia verso l’indesiderata altra sponda del Mediterraneo.

L’elenco dei problemi, reali e presunti, dell’Africa è infinito (siccità, inondazioni, cicloni, crisi climatiche violenze, persecuzioni, pandemie, diaspora coatta) ma la tradizione dell’immigrazione infracontinentale è millenaria. Oggi sugli 84 milioni in uscita dal proprio paese nel mondo, la metà è africana; nel 2050 saranno 86 milioni (fonte Banca mondiale). In Africa si fugge da un posto all’altro per poi scapparne ancora senza requie. La metà esce dal continente, in 11 milioni verso l’Europa, in 5 milioni per Medioriente e Golfo e in 3 milioni per l’America.

Nell’Africa nera 6 milioni fuggono conflitti, 4 disastri ambientali ma lo sfollamento forzato è a livello record da un decennio. Si fugge nei paesi dal Pil più alto, Nigeria ($441 miliardi), Sudafrica ($419), Nordafrica (Egitto $404 con un milione di immigrati sui 104 locali, Algeria $163, Marocco $143), Etiopia ($111), Kenya ($110), Guinea Equatoriale ($12), le ricche Seychelles ($1,4), in Gabon ($18). Si fugge nella Libia della guerra civile (12%) per raggiungere l’Italia (67mila immigrati nel 2021 con 2800 morti tra 2021 e 22); in Marocco per Spagna, Canarie e Baleari (37.385 immigrati nel 2021 con 1.025 defunti, nell’anno più mortale su questa rotta). Si fugge in Etiopia, in Somalia per raggiungere il Medioriente ed il Golfo dove si rimane detenuti, schiavizzati (32mila nello Yemen), soggetti a riscatto per riavere la libertà.

Tutte queste disgrazie trovano di solito responsabilità storica nel colonialismo europeo, fenomeno di 70 anni fa, durato dal 1884 della Conferenza di Berlino della spartizione all’alba degli anni ’60, post debacle bellica. Stante la guerra fredda, le piccole Comunità europee a 6 paesi nel ’57 associarono commercialmente con dazi favoriti le colonie in via di indipendenza. La questione riguardava in realtà la Francia e i cd Sama, 18 paesi africani(già colonie francobelga più la Somalia) indipendenti dai primi ’60 con cui i legami vennero confermati con le convenzioni di Yaoundé nel ’63 e ’69. Poi la convenzione di Arusha ’69 allargò ai paesi Estaf (Kenia, Uganda, Tanzania), parte dell’altro grande ex impero coloniale inglese malgrado che l’Uk entrasse nella Cee solo nel ’73. Il Nordafrica arabo, già colonia franco spagnola, non entrò mai in questi accordi

Mentre l’Europa pensava al betterreds, l’acme dell’ottimismo africano, della demagogia della liberazione dei popoli, delle colpe dell’uomo bianco, della condanna universale dell’apartheid sudafricano risuonò alto a metà anni ’70, quando venne varata sempre a prezzi africani avvantaggiati, la cooperazione nella convenzione di Lomè per 46 stati ex colonie Acp (Africa, Caraibi, Pacifico). All’epoca i coloni furono espropriati, cacciati, perseguitati e uccisi (nell’ultima colonia, la Rhodesia del Sud, in Kenya dai MauMau, in Libia, più tardi dalla Lancia della nazione sudafricana di Mandela). Le frontiere, i sistemi giuridici e amministrativi delle vecchie colonie, però, rimasero le stesse, in assenza di personale competente ed in barba alle realtà tribali, vera unità di misura politica del continente che prevarica le regioni amministrative e gli impianti statali. Gli Stati africani sono infatti spesso entità fantasma, senza controllo del territorio se non nella espressione stragista, il che spiega l’enorme spesa militare che divora il Pil.

Poi l’Europa è diventata la grande Ue a 27 paesi ad un passo da allargarsi all’Ucraina pur nella perdita dell’Uk mentre l’associazione con ben 79 paesi ex Acp, ora Oacps, si è fatta consuetudinaria, prolungata in tre Lomè fino al 2002, poi nel partenariato di Cotonou dal 2003 al 202, riconfermato nel post Cotonou, non ancora ratificato da tutti, senza Uk per la Brexit. L’Africa delle dittature militari, dei continui colpi di stato, dei dittatori folkloristici, dell’indebitamento e dell’avanzante islamizzazione estremista ha proseguito stancamente, senza molto entusiasmo, a pretendere l’improbabile diritto allo sviluppo del terzomondismo. Non è che l’Africa non si sia sviluppata; è arrivata nel 2022 a $2,1 bilioni di ricchezza privata, (di cui il 56% in mano a Sudafrica, $651 miliardi, a Egitto, 307, e Nigeria,228) ma la distanza con i $15 europei è siderale. Da undici anni l’imprenditore nigeriano Dangote è l’africano più ricco con un patrimonio di $14 miliardi lontanissimo dalla sessantina dell’italiano più ricco, Ferrero. I problemi finanziari africani sono tornati insostenibili come nel 2000e l’inflazione è doppia della media mondiale.

Ad Abidjan (Costa d’Avorio) nel 2017 Ue e Unione Africana concordarono che contro l’emigrazione incontrollata ci fosse solo lo sviluppo. Nel 2018 le Ong di Link2007 ottennero dall’Onu i Patti per la migrazione sicura e sui rifugiati (valorizzazione dell’immigrazione in imprenditoria transnazionale, ingresso e soggiorno regolari, inclusione, cittadinanza, trasformazione del debito in investimenti, trasferimento tecnologico, aiuti dello 0,70% e non dell’attuale 0,4% peraltro mai raggiunto del pil dei paesi Ocse, libera immigrazione governata da Onu e Ue con piccoli numeri per ogni regione e provincia). Invece l’Europa nel Consiglio europeo di Helsinki del ‘99 alzava l’asticella fissando i presupposti necessari, ma impossibili, allo sviluppo, nella pacificazione e democratizzazione africane. Un dialogo tra sordi che non può prescindere dal fatto che il principale aiuto internazionale, destinato a restare tale fino al 2030, all’Africa resta quello europeo, da €150 miliardi annui, in assenza di aiuti privati.

L’Europa ha tolto i vantaggi daziari, che non hanno mai inciso, ha sostituito il Fondo per lo sviluppo con il più generico Global Europe e messo sul tavolo un lungo elenco di condizionalità agli aiuti in vari step, dalla lotta alla criminalità, al terrorismo, alla non-proliferazione, alle missioni di peace keeping, alla parità senza differenze (per ethnicity, gender, age, disability, religion, beliefs, sexualorientation and gender identity, recognition and advancement of the rights of indigenous peoples vs racism, racialdiscrimination, xenophobia and relatedintolerance) fino al cambiamento climatico, diritti umani, pace, stabilità e sicurezza per lo sviluppo sostenibile di Agenda 2030. Unica concessione, l’autoregolazione sulle condizionalità attraverso la riconciliazione intraACPal posto dell’intervento esterno.

Gli accordi euroafricani hanno perso importanza per entrambi. All’Africa del potere interessano soldi, dittatura, corruzione, guerra. Anche se i francesi, gli unici a tenerci, ed il franco coloniale Cfa sono stati cacciati parzialmente, ai governi del continente nero l’Europa serve ancora. L’Africa popolare, massivamente ed a ogni costo, non ne può trascendere; vuole emigrare anche illegalmente in Europam al grado l’evidente scarsa integrazione degli emigranti africani, manifesta soprattutto in Francia tra 6 milioni di arabi e 4 di neri. (Smith, Fuga in Europa. La giovane Africa verso il vecchio Continente 2018). Stando così le cose, non è detto che in un futuro non vengano militarizzati i confini; Frontex ha già dato esempi in questo senso.

L’Africa è sempre più antieuropea ed antioccidentale semplicemente perché non vuole una cooperazione decolonizzata. In Europa si tratta di Africa solo nell’analisi della nuova guerra fredda multipolare perché tanto, è l’unico continente fuori dal mercato unico globalizzato. La minoranza interessata occidentale rimesta l’aria fritta del colonialismo, come l’accademico Uk Andrews, che parla di progettazione della gerarchia della razza al lavoro per la disuguaglianza globale. Gli africani, come Sankara, rivoluzionario del Burkina, credono che gli africani debbano trovare lo sviluppo attraverso le proprie tradizioni. Tradizioni contrarie al politicamente corretto ed alla tutela ambientale, considerata mentalità coloniale. Si pensi alla cacciata degli ambasciatori di Berlino, Roma e di Parigi da Ciad, Burkina Faso e Mali dopo le critiche ai colpi di stato. Nessuno sembra voler affrontare le responsabilità africane, in una razzista assoluzione per incapaci di intendere e volere.

(1, continua)

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