di Gianfranco Tomei
Nel 1968 Pasolini era intento alla realizzazione del film “Teorema” e, come lui stesso dice, alla stesura del romanzo omonimo. “Teorema” dice Pasolini “è nato come su fondo oro, dipinto con la mano destra, mentre con la mano sinistra lavoravo ad affrescare una grande parete (il film)”. Il fondo oro e l’affresco suggeriscono il carattere religioso della storia, che comporta accadimenti miracolosi di ogni sorta, volta a volta inquietanti se non terribili, o consolatori (Attilio Bertolucci).
Di cosa parlano Teorema libro e film? Una famiglia della alta borghesia milanese, proprietaria di fabbriche, riceve in casa un misterioso ospite, un bellissimo ragazzo dai modi gentili ma dallo sguardo ambiguo. Il ragazzo starà in casa con loro per un certo periodo, invitato non si sa da chi. In questo periodo avrà rapporti sessuali omo ed etero con tutti i membri della famiglia, compresa la serva di casa Emilia. Poi abbandonerà il nucleo familiare, misteriosamente come misteriosamente era arrivato, lasciando tutti nello sconforto, nel panico, nell’horror vacui. Il figlio diventerà un pittore avanguardista nichilista e disperato, la figlia si chiuderà in un silenzio catatonico, la madre andrà a sedurre ragazzi nelle borgate milanesi e infine avrà una crisi mistica, il padre finirà nudo e solo a vagare in un non meglio precisato deserto sabbioso. Solo la serva Emilia, di origini contadine, tornerà al suo paese e, forse unica ad utilizzare al meglio la crisi portata dall’Ospite, diventerà una santa anacoreta che si nutre solo di bacche e radici e guarirà bambini affetti da malattie invalidanti.
Il fulcro del teorema pasoliniano, come afferma lui stesso, è che qualunque cosa la borghesia faccia nel suo rapporto con il sacro sarà qualcosa di sbagliato. Solo i contadini sanno reagire al cospetto del sacro in modo corretto. L’Ospite, il giovane letterato portatore della crisi familiare, interpretato nel film da un sulfureo Terence Stamp, nelle intenzioni di Pasolini è la personificazione di Jahvè, di un Dio a metà fra il biblico e il dionisiaco, quindi una commistione fra vecchio testamento e mito greco. Lo sguardo di Stamp, lascivo e ironico quanto basta, rende al meglio questa curiosa intuizione pasoliniana.
Dittico di opere realizzate in pieno periodo di contestazione studentesca, Teorema libro e film sono stati definiti il migliore ed esteticamente il più corretto esempio di come la borghesia finirà per autodistruggersi, sulla spinta delle sue stesse contraddizioni interne, e marxisticamente parlando lascerà spazio, messianicamente, ad una nuova civiltà che ne prenderà il posto e il potere. Tuttavia vediamo poco di ottimistico nelle immagini pasoliniane, che terminano con la figura del padre di famiglia che si aggira urlando nel vuoto di un deserto che non possiamo che definire anche morale e psicologico. Sappiamo cosa pensava Pasolini dei movimenti studenteschi del maggio francese e italiano: ce ne aveva parlato nella molto contestata poesia “Il PCI ai giovani” uscita quello stesso anno sulle pagine dell’Espresso. Animato da spinte che Asor Rosa definiva squallidamente populiste e retrograde, Pasolini non può condividere la teleologia degli studenti in rivolta, e fa presente la lotta di classe al contrario che si è svolta sulle scalinate di Valle Giulia a Roma, fra studenti ricchi figli di papà e poliziotti figli di poveri “con divise che puzzano di rancio e fureria”.
Quindi il Teorema pasoliniano non inneggia alle “magnifiche sorti e progressive” degli studenti in rivolta, ma ha in sé un pessimismo leopardiano che non vede nulla di buono nel presunto crollo del sistema imprenditoriale del paleo-capitalismo, ma vede qualcosa di nuovo e minaccioso che si fa largo in quell’implodere di valori morali e comportamentali.
Cosa vede quindi Pasolini, cosa ci fa vedere con il suo consueto profetismo autoriale?
La Borghesia post-’68 sta mutando di segno: abbandona i vecchi stilemi legati al risparmio, al moralismo clericale, e avanza sull’onda delle rivendicazioni degli studenti. Nel suo ultimo capolavoro, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, realizzato nel 1975, quindi 7 anni più tardi, Pasolini mostra cosa sta avvenendo nel ventre molle della classe al potere. A farsi strada è la perversione psicotica, sotto forma di un edonismo isterico e compulsivamente privo di inibizioni e lacci morali. Un baccanale laico e sadico che coinvolge tutti i gangli della classe dominante, e che sta disgraziatamente facendosi largo anche nelle classi subalterne. Il laicismo materialistico coinvolgerà anche il popolo, cioè si apre un varco in coloro che prima erano fuori, psicologicamente e socialmente, dall’orbita del Palazzo.
Quindi la borghesia non crollerà affatto, sebbene Pasolini in Teorema finga per un attimo di crederci, ma dal bailamme del ‘68 esce rafforzata. La borghesia edonistica e godereccia diventerà il modello per tutte le altre classi sociali, che vorranno a lei apparentarsi e assomigliargli in tutto e per tutto. La borghesia-champagne di Briatore, di Vacchi, di Lapo Elkanntrionferà, e relegherà in soffitta tutta la antica classe sociale amante delle buone maniere e dell’etichetta. La ricchezza sarà gettata in faccia al popolo, non più mediata dal bon ton, e l’ostentazione delle manie narcisistiche e del vizio, prima a lungo evitata dalla borghesia dominante, diventerà d’obbligo per i neo-borghesi vitalistici e modernisti.
La rivoluzione antropologica in Italia è tale che, abbandonate le vecchie abitudini moraliste e censorie del paleo-capitalismo, le nuove sirene neo-capitalistiche fanno crescere la società italiana verso un consumismo di stampo anglo-sassone, che però non ha in sé lo spiritualismo di cui è intrisa bene o male la società americana, ma in Italia si sviluppa in un edonismo levantino che ha tutte le negatività d’oltre oceano con in più il vizio e la spregiudicatezza di matrice italica. Anche le periferie risentono di questo mutamento, e quello che un tempo era solo una caratteristica dei ceti dominanti, oggi ha preso piede anche nelle borgate, e soprattutto i giovani si vergognano dei vecchi valori nei quali credevano ed erano cresciuti i loro padri e i loro nonni, e tentano di scimmiottare modelli di comportamento che non gli sono propri e che li rendono solo delle marionette tristi ed infelici. Il teorema pasoliniano quindi si configura in questo modo nelle opere dei primi anni ’70.
Scrive Pasolini nel “Ampliamento del bozzetto sulla rivoluzione antropologica in Italia” contenuto in “Scritti corsari” (1975):
Una volta il fornarino, o cascherino – come lo chiamano qui a Roma – era sempre, eternamente allegro: un’allegria vera, che gli sprizzava dagli occhi. Se ne andava in giro per le strade fischiettando e lanciando motti. La sua vitalità era irresistibile. Era vestito molto più poveramente di adesso: i calzoni erano rattoppati, addirittura spesse volte la camicetta uno straccio. Però tutto ciò faceva parte di un modello che nella sua borgata aveva un valore, un senso. Ed egli ne era fiero.
Al mondo della ricchezza egli aveva da opporre un proprio mondo altrettanto valido. Giungeva nella casa del ricco con un riso naturaliter anarchico, che screditava tutto: benché egli fosse magari rispettoso. Ma era appunto il rispetto di una persona profondamente estranea. E insomma, ciò che conta, questa persona, questo ragazzo, era allegro.
Non è la felicità che conta? Non è per la felicità che si fa la rivoluzione? La condizione contadina o sottoproletaria sapeva esprimere, nelle persone che la vivevano, una certa felicità «reale». Oggi, questa felicità – con lo Sviluppo – è andata perduta. Ciò significa che lo Sviluppo non è in nessun modo rivoluzionario, neanche quando è riformista. Esso non dà che angoscia.
Il modello sovietico comunista finisce, giustamente, per crollare sotto il peso delle ingiustizie e delle prevaricazioni. Quindi al modello consumistico-capitalistico non viene rilevata oggigiorno alcuna alternativa. In questo lager della nuova modernità, dove le distanze fra centro e periferia si annullano e la nevrosi dell’apparire, del possedere e del distruggere è diventato il nuovo credo della post-modernità, ci siamo dentro anche noi senza più possibilità di fuoriuscita.
Quindi che cosa fare? Qual è il nuovo Teorema di oggi?
Gianfranco Tomei
Docente di Psicologia – Università Roma Sapienza
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845