Un leit motiv sempre più citato, condiviso, auspicato (da innumerevoli buone pratiche, strategie- piani-progetti EU/Italia) e con il PNRR ora anche appositamente finanziato. E’ infatti tra i milestones della Missione 2 “Transizione ecologia e rivoluzione verde” – Componente C4 “Tutela del territorio e della risorsa idrica”, Linea di intervento 3 “Salvaguardare la qualità dell’aria e la biodiversità del territorio attraverso la tutela delle aree verdi, del suolo e delle aree marine”, Investimento 3.1 “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano”, che, trasversale agli obiettivi suddetti, ha attivato un programma sperimentale di forestazione urbana nell’ambito delle 14 Città metropolitane, con uno stanziamento di 330 milioni di euro per realizzare boschi urbani, periurbani ed extraurbani, con la messa a dimora di 6,6 milioni di alberi entro il 2024, contribuendo all’obiettivo UE di piantare almeno 3 miliardi di alberi entro il 2030.
Il “Piano di Forestazione di urbana ed extraurbana” prevede che i progetti delle 14 Città Metropolitane rispettino i tre principi della “Strategia nazionale per il Verde Urbano”: tutelare la biodiversità per garantire la piena funzionalità degli ecosistemi; aumentare la superficie e migliorare la funzionalità ecosistemica delle infrastrutture verdi a scala territoriale e del verde costruito; migliorare la salute e il benessere dei cittadini.
Il Piano, oltre quindi gli obiettivi classici del verde urbano, punta a ridurre il debito ecologico, favorire la transizione ecologica, rilanciare l’economia e l’occupazione in linea con la green economy e lo sviluppo sostenibile, integrando mitigazione e adattamento al cambiamento climatico e riduzione dell’inquinamento atmosferico, problematiche più che urgenti proprio nelle 14 Città metropolitane (1.268 comuni) in cui vivono più di 21 milioni di persone in un territorio di oltre 4.5 milioni di ettari ( 15% del territorio nazionale) e che comprende, oltre agli ecosistemi urbani, ecosistemi naturali ed agro ecosistemi.
Tutto bene allora? Sembra proprio di no. Alcune città metropolitane, tra cui Milano, non hanno partecipato al 1° bando perdendo quindi gli stanziamenti dedicati, altre hanno piantato …. semi! Querelle poi risolta con la recentissima approvazione dell’Europa che, appositamente interpellata dalla Corte dei Conti, ha affermato la totale corrispondenza tra semi e alberi (!) così confermando la rendicontazione sulla domanda di pagamento di dicembre 2022 per i primi 1,65 MLN di alberi. Ed è l’ultima di una serie di anomali accadimenti che riguardano questo importante quanto complesso obiettivo globale.
Da anni (già all’alba del Green New Deal) gli esperti segnalarono una serie di criticità da risolvere con strategie urgenti e condivise: crisi climatica, economica, pandemica, giocavano contro la necessaria programmazione (quali alberi, quali aree, quali addetti, …) e contro il tempestivo investimento di risorse da attivare. A partire dalla filiera della produzione: un albero non lo trovi dall’oggi al domani ma ne va programmata in vivaio la produzione, la preparazione all’impianto, al trasporto, … all’interno di una filiera organizzata che non può attivarsi da sola, ma necessita di commesse ed accordi collaborativi senza i quali, come infatti accaduto, non potranno aversi alberi, tanto meno milioni di alberi.
Altra criticità: le aree di impianto, come è stato nel caso della città metropolitana milanese che, piccola e densamente urbanizzata, non ha trovato dove metterli. Ed anche qui, occorreva predisporre per tempo una “filiera di esperti” che sapessero leggere le potenzialità del territorio, con lenti adatte e innovative per rinvenire non già le aree pronte alla bisogna (3 ettari minimo in città, 10 ettari minimo all’esterno) ma quelle integrabili agli obiettivi come peraltro chiaramente espressi dal bando che cita “una progettualità di più ampio respiro, per riforestare le aree residuali, per realizzare una vera rigenerazione urbana (aree industriali, lembi residuali legati alle infrastrutture della mobilità ferroviarie e autostradali, aree estrattive, …), le periferie e il sistema delle aree periurbane … Potranno essere incluse negli interventi le aree recentemente incendiate sia nella fascia periurbana che extraurbana e le aree agricole intensive, dove sarà possibile prevedere una riduzione della superficie agricola totale utilizzando ambiti ormai marginali alla produzione agricola vera e propria. Si tratta di recuperare nuclei e fasce di vegetazione boscata particolarmente interessanti in termini ecologici e paesaggistici al fine di recuperare trame di paesaggio agrario ormai scomparse, favorire i processi di impollinazione e rappresentare “stepping stones” necessari per rendere efficace il collegamento funzionale e strutturale con le reti ecologiche territoriali, con i sistemi rurali interni, con il sistema delle aree naturali e con il sistema delle aree protette. “
Una progettazione integrata quindi e attenta alle necessità/potenzialità del territorio in un ottica trasformativa che, abbandonata la consueta prassi, abbracci l’innovazione anche audace e coraggiosa. Come è sempre più necessario per una gestione sostenibile del territorio sia in termini ambientali che sociali, tra equità-benessere-identità-economia da condividere. Chissà che ciò non possa affermarsi ora, a valle dei drammatici accadimenti che tra dissesto idrogeologico e alluvioni chiaramente ci dicono degli errori che abbiamo commesso sovrapponendo gli spazi dell’Uomo a quelli della Natura e ignorandone le possibili (obbligatorie!) compatibilità.
E così tra un consumo di suolo costantemente in crescita (19/ettari giorno), frane (80% del totale europeo), 94% dei comuni a rischio idrogeologico per oltre 8 milioni di abitanti, … continuiamo scelleratamente a parlare di emergenza, di ripristino, di manutenzione, …. di nutrie, invece che cambiare le lenti e guardare per capire.
Per esempio quanto sia errato continuare ad innalzare argini di fiumi pensili invece che ampliarne le sezioni idrauliche restituendone le aree golenali, realizzando aree di espansione (non casse di laminazione) vegetate e integrate ad aree fruitive (sponge sistems), coltivando piani/progetti multifunzionali e adattativi, infrastrutture verdi per la rigenerazione e deframmentazione dei nostri paesaggi, parimenti utili al piantare alberi e rispondere al cambiamento climatico.
Certo ciò significa rinegoziare lo status quo delle proprietà e degli usi delle aree di interesse in un processo necessariamente win-win che rinvenga i vantaggi reciproci tra interesse privato e bene comune, integrandone la dimensione economica (quanto costa un’alluvione) e sociale. E così, solo così, potremo dare seguito al pilastro fondativo del Next Generation EU, che appositamente stanziò 750 miliardi di euro (di cui oltre 190 per il PNRR Italia) per sostenere gli stati membri EU nel post pandemia. E che chiaramente esplicitava “imparare dagli errori del passato per cambiare passo ed investire a favore delle future generazioni”. Obiettivo One Health, per il benessere comune e del pianeta.
Flora Vallone
Architetto e paesaggista
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