Il 18 scorso il sindaco Beppe Sala a proposito del referendum sullo Stadio di San Siro, referendum che non si è ancora completato e la cui sorte è ancora in bilico vista la sentenza del tribunale, ha detto a La Repubblica: “Di recente a Parigi per il referendum sui monopattini è andato a votare il 7%”. Ha poi fatto questo ragionamento: “Mi chiedo, se va a votare il 7% dei milanesi e si esprime a favore il 4%, è più giusto ascoltare l’opinione di quel 4% o che il Sindaco e l’Amministrazione si prendano le loro responsabilità? Secondo me la seconda.”. Mi è venuta una curiosità: ma lui su cosa fonda la sua legittimazione?
Nelle elezioni scorse la lista Beppe Sala Sindaco ha ottenuto il 9,1% del 47% dei votanti ossia il 4,1%. Questo 4,1% è la sua “legittimazione”?
Dunque è meglio che Sala sorvoli sull’opportunità di opporsi al referendum.
Però queste affermazioni di Sala si collocano nel dibattito aperto a Milano sulla questione Stadio Meazza e di conseguenza su temi fondamentali di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica: i referendum comunali andrebbero fatti tenendo presente quanto è detto nel Codice dei Contratti Pubblici di recente aggiornato a proposito del “Dibattito pubblico”.
Nei referendum previsti dal Comune di Milano, la norma che fa da cappello al loro regolamento è la seguente:” Lo Statuto del Comune di Milano prevede la possibilità da parte dei cittadini di proporre referendum di ambito comunale e municipale. Sono possibili tre tipi di referendum: Referendum abrogativo: la consultazione elettorale con cui viene chiesta l’eliminazione totale o parziale, dall’ordinamento comunale, di deliberazioni adottate dal Consiglio o dalla Giunta comunale; Referendum consultivo: la consultazione elettorale con cui viene espresso un orientamento o una scelta in merito a temi, iniziative, programmi e progetti di competenza del Consiglio o della Giunta comunale; Referendum propositivo: la consultazione elettorale con cui viene chiesta l’adozione di un atto, di un provvedimento o di un parere su materie di competenza del Consiglio o della Giunta comunale.
Ci sono molte questioni da chiarire.
Le tre possibilità di referendum sono riservate solo ai cittadini? Così reciterebbe il primo paragrafo del regolamento comunale sui referendum e questa è già una anomalia perché escluderebbe la possibilità di un referendum indetto dalla amministrazione ossia il referendum consultivo.
Non credo solo per questo ma per altri deragliamenti dell’amministrazione il Tribunale ha emesso una sentenza che dovrebbe servire di monito per la prosecuzione del referendum.
Diamo ora uno sguardo all’obbligo dei referendum sancito dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 7, concernente il Governo nazionale e soprattutto a quello che vi si prevede: il “dibattito pubblico” (mutuato da Débat Public di origine francese).
Vale a questo punto citare la Relazione Il Dibattito Pubblico in Italia a due anni dalla sua attuazione pubblicato dal Ministero delle Infrastrutture dove si legge: “Il Dibattito Pubblico sulle grandi opere infrastrutturali è espressione della democrazia partecipativa e, come è stato autorevolmente osservato, tra e le mosse dalla filosofia di fondo per il quale le predette opere, spesso necessarie per la vita di una società più umana, ma ugualmente spesso pericolose per il suo equilibrio, non possono più essere lasciate alla sovrana decisione dell’Amministrazione, rispetto a una tradizione di attività autoritaria, ma riconosciute per quello che devono essere, ossia opere (anche) della società, così come sono opere per la società.”. (2. L’istituto del dibattito pubblico 2.1 finalità a norme).
I relatori autori di questa Relazione hanno espresso criteri che andrebbero applicati in linea generale: al di là dell’argomento della partecipazione danno giudizi interessanti su tutto l’insieme di norme che regolano il rapporto tra pubblico e privato e tra cittadini e Amministrazione.
Al riguardo ricordo anche che la questione Dibattito Pubblico in Francia ebbe origine dalla constatazione che tra amministratori e amministrati vi fosse troppa distanza e troppo disinteresse di questi ultimi alla cosa pubblica da cui l’astensionismo alle urne. Per chi avesse interesse alla Charte de la participation adottata da Lione nel 2003 potrà trovarla qui. È il miglior esempio francese. Magari lo avessimo adottato così com’è, invece di fare il solito pasticcio all’italiana.
Confesso che le mie risorse di cacciatore di argomenti ad adiuvandum per le mie idee nel mare magnum delle leggi e dei regolamenti italiani sono esaurite (Troppe norme, spesso inutili: 200 mila leggi dal 1861 in poi – Corriere delle Sera 11 febbraio 2018), e dunque ora mi limito a esporre solo degli auspici.
Quando si fanno dei referendum è indispensabile che la popolazione sia informata dell’evento, non bastano gli annunci sulla stampa locale o la pubblicazione sull’Albo Pretorio. L’amministrazione ha a sua disposizione molti spazi pubblicitari (Stazioni MM) che potrebbe utilizzare ampiamente anche se il costo non è banale ma il gioco vale la candela.
Bisognerebbe limitare il voto al referendum solo ai cittadini delle zone realmente interessate dall’intervento proposto con apposita perimetrazione.
Se il referendum riguarda solo una zona della città si può fare come fa Londra: un piccolo avviso appeso ai lampioni o ai vari tipi di pali (troppi come sappiamo) lungo le strade dei quartieri interessati.
Si dovrebbe comunque come primo atto indire una riunione (cosa che va segnalata già nel primo annuncio pubblico) tra i cittadini interessati (aperto naturalmente ai rappresentanti di portatori di interessi, associazioni, sindacati ……..) ai quali illustrare le ragioni del referendum e distribuire materiale comprensibile anche per il cittadino non specialista. Distribuire il materiale a chi lo richieda e indicare dove trovarlo a chi avesse dei ripensamenti.
Bisognerebbe chiarire l’iter e le fasi del referendum e dei tempi relativi in modo che i cittadini sappiano se e quando saranno ancora chiamati a esprime le loro idee.
Si dovrebbe abbassare a 5.000 le firme necessarie per l’indizione del referendum dopo che la sua ammissibilità sia confermata dal Collegio dei Garanti.
I risultati del referendum debbono essere pubblici e debbono vincolare l’Amministrazione.
Ci sono due nodi da sciogliere comunque: la nomina dei Garanti e quella del coordinatore.
Se il contrasto è tra l’Amministrazione e i cittadini, i Garanti da tempo nominati, non possono essere quelli scelti dall’Amministrazione, c’è conflitto di interessi. La stessa cosa può dirsi del cosiddetto coordinatore previsto dalle norme sul referendum: non ho assolutamente nulla da dire sul coordinatore già scelto ma, essendo il suo ruolo fondamentale per lo sviluppo del referendum sullo Stadio Meazza, visto il rapporto chiaramente conflittuale tra i proponenti del referendum e l’Amministrazione, siamo in una situazione nella quale il coordinatore non può essere scelto da una delle parti.
È dunque necessario un profondo ripensamento perché, per prima cosa, il Sindaco che ci tiene tanto, deve spiegarci le sue per ora fumose ragioni e dirci perché mai il Comune deve dare un sostanzioso aiuto economico alle due squadre di calcio oggi possedute da gruppi stranieri e, se mi è permesso, spiegare a me ma anche ai cittadini, per quale motivo non si configuri un aiuto pubblico a società private come ho più volte scritto. il tutto in spregio delle norme comunitarie al riguardo.
Come forse si è capito, sono uno che non molla facilmente l’osso.
Luca Beltrami Gadola (Arcipelago)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845