Dall’assessore comunale alla Cultura Tommaso Sacchi e dal figlio Alberico, presenti i familiari e, tra altri, ANED e Fondazione Memoria della Deportazione
di Benito Sicchiero
“La funzione che è la forma” è la formula che ha ispirato l’attività professionale di Lodovico Barbiano di Belgiojoso, architetto e designer (1909-2004), cofondatore nel 1932 con Gianluigi Banfi, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers dello studio BBPR. Lo ha ricordato il figlio Alberico, che con i familiari, il fratello Giovanni, il nipote Alessandro, ed altri rappresentanti della famiglia, ha presenziato alla cerimonia di intitolazione del giardino di via Balduccio da Pisa, in Milano, alla straordinaria figura di questo maestro dell’architettura italiana; e, insieme, di protagonista nell’impegno politico, inteso nella sua più nobile espressione sociale, “volto alla ricerca di un Italia ‘altra’ dove l’esistenza si scontra con le dubbie verità del Paese tradizionalista e lassista”.
A rappresentare il Comune di Milano l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, personalità del mondo culturale (citiamo per tutti Stefano Boeri, presidente della Triennale), imprenditoriale con Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, professionale (Gianni Verga, a lungo presidente del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano fondato nel 1563, l’arch. GianMaria Beretta), rappresentanze d’arma. Posto d’onore tra i selezionati invitati la Fondazione memoria della deportazione presieduta da Floriana Maris, figlia dell’avvocato senatore Gianfranco Maris, deportato a Mauthausen, amico fraterno di Belgiojoso, l’ANED con il suo presidente Dario Venegoni, Guglielmo Guidobono Cavalchini esponente dell’Ordine di Malta.
Lo studio BBPR costituisce uno dei primi e più interessanti casi di sodalizio artistico e culturale fondato sul lavoro di gruppo anziché sulla personalità del singolo.
Per i BBPR la collaborazione avveniva nel rispetto di una serie di propositi e di sinergie destinati a garantire la qualità del progetto nel segno della compattezza del gruppo. Questi principî venivano insegnati ai giovani collaboratori ed erano ribaditi pubblicamente: “Qualsiasi progetto fatto in quattro è comunque migliore di quello che avrebbe potuto essere prodotto singolarmente da ciascuno. Non riveleremo mai la singola paternità di un’idea, ogni idea è sempre la nostra idea” erano soliti ripetere i membri del gruppo.
Unità d’intenti nelle scelte progettuali e nella discussione dei paradigmi culturali hanno accompagnato i BBPR fin dai primi anni della comune formazione universitaria al Politecnico di Milano all’adesione al Razionalismo, dai concorsi degli anni Trenta fino alla maturazione post-bellica, le dolorose esperienze delle Leggi Razziali che colpirono Rogers, la successiva adesione al Partito d’Azione, la drammatica deportazione di Belgiojoso e di Banfi e infine la morte di quest’ultimo, avvenuta nel campo di sterminio di Gusen.
All’indomani della Liberazione, Belgiojoso, Peressutti e Rogers (rifugiato in Svizzera dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943) decidono di proseguire l’attività dello studio mantenendo inalterato il nome BBPR. Accanto alla celeberrima Torre Velasca, ricordiamo, tra le molte opere a Milano, in Italia, all’estero il restauro del Museo del Castello Sforzesco e del Palazzo Reale, fino alla progettazione di edilizia economica e popolare.
Il combattente per la democrazia e la libertà. Partigiano di Giustizia e Libertà, fu arrestato a Milano insieme al collega dello Studio Banfi, deportato a Fossoli e poi a Bolzano e Mauthausen e Gusen fino al 5 maggio 1945.
Suoi sono anche numerosi monumenti a ricordo della tragedia dei Lager. Membro da sempre del Consiglio nazionale dell’ANED, aveva voluto essere presente all’inaugurazione della nuova sede della Fondazione Memoria della Deportazione. Per sua espressa volontà è stato sepolto con il fazzoletto dell’ANED. Un suo grande rammarico: non aver visto realizzare il Museo della Resistenza, che ancora oggi è allo stato di progetto.
Ricciarda Belgiojoso ha concluso la cerimonia leggendo una poesia del padre, ”Come se niente fosse”, parte di una preziosa testimonianza, storica e culturale insieme, di disegni e scritti realizzati durante la deportazione.
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