Un anno e 3 mesi con la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel casellario giudiziale e la concessione delle attenuanti generiche. Dopo oltre un anno di dibattimento si è concluso così il processo in cui Piercamillo Davigo è finito imputato a Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio in merito ai verbali di Piero Amara su una presunta Loggia Ungheria.
Verbali che in pieno lockdown il pm milanese Paolo Storari gli aveva consegnato per autotutelarsi, a suo dire, dalla inerzia dei vertici del suo ufficio. La sentenza è stata letta dal presidente della prima sezione penale del Tribunale Roberto Spanó, che ha accolto la richiesta dei pm Donato Greco e Francesco Carlo Milanesi, titolari dell’inchiesta con il Procuratore Francesco Prete: avevano proposto di condannare Davigo a un anno e 4 mesi. Il collegio, che depositerà le motivazioni in 30 giorni, ha anche disposto il risarcimento di 20 mila euro che l’ex pm di Mani Pulite dovrà versare a Sebastiano Ardita, il suo ex collega a palazzo dei Marescialli e co-fondatore della corrente Autonomia e Indipendenza che si è costituito parte civile ritenendo di essere stato danneggiato dalla vicenda.
“Davigo? L’ho sentito e mi ha detto “faremo appello. E’ evidente”, ha commentato il difensore Francesco Borasi, aggiungendo: “E’ stato fatto un errore in fatto e in diritto. La serenità è totale e faremo appello. Il dibattimento aveva dimostrato cose completamente diverse”. Per il legale di Ardita, Fabio Repici, invece, “la condanna non era imprevedibile. Solo in questo Paese sbandato e in questo tempo sbandato – ha proseguito – si poteva dubitare che un reo confesso non venisse condannato solo perché ha indossato la toga”.
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