Enea ha sviluppato le mappe delle aree costiere a rischio inondazione

Cronaca

Enea ha sviluppato un nuovo servizio in grado di mappare le aree costiere a rischio inondazione per il cambiamento climatico che abbina modelli ad alta risoluzione, tecnologie satellitari e rilievi sul campo. Il nuovo servizio climatico è stato messo a punto da un team di ricercatori composto da climatologi, esperti GIS, oceanografi e geologi ed è stato presentato al XXI Congresso International Union for Quaternary Research (INQUA), una delle più importanti conferenze internazionali sulle scienze del Quaternario che si è svolta di recente a Roma. Ad oggi, sono state completate le mappe di Follonica-Piombino e Marina Di Campo in Toscana, Fertilia-Alghero in Sardegna e Parco Nazionale del Circeo (Latina-Sabaudia) nel Lazio, mentre sono in via di definizione quelle dei litorali della Spezia, Roma, Napoli, Brindisi, Taranto e Cagliari. Il nuovo servizio di mappatura – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – intende fornire a decisori pubblici e pubbliche amministrazioni centrali e locali le tendenze evolutive del territorio, in modo da pianificare le strategie di adattamento al cambiamento climatico. “I risultati dei nostri studi hanno dimostrato che entro la fine del secolo, i beni maggiormente esposti al rischio di inondazione sono le zone umide, le aree di retrospiaggia e retroduna e alcune infrastrutture marittime”, sottolinea Sergio Cappucci del Laboratorio Enea di Tecnologie per la dinamica delle strutture e la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico. “Per ciò che riguarda le zone umide e le aree di retrospiaggia – aggiunge – il rischio di inondazione rispetto all’attuale livello medio del mare è dovuto alla bassa quota e alla subsidenza, mentre per le infrastrutture costiere come porti, opere di difesa, moli, casse di colmata, la causa sembra riconducibile al naturale affondamento sul fondo marino”.

Nello specifico, l’approccio innovativo si compone di tre fasi: nella prima, grazie all’utilizzo dei modelli digitali del terreno di alcune delle piattaforme nazionali ed europee (come il Portale Cartografico Nazionale per i modelli digitali e il programma Copernicus per i movimenti verticali della superficie terrestre), vengono individuate le aree costiere che nei prossimi decenni saranno più vulnerabili alle variazioni del livello del mare. La seconda fase riguarda la valutazione approfondita delle categorie di beni più esposte alle inondazioni. “Grazie alla disponibilità di Modelli Digitali Terrestri (DTM) del periodo 2008-2012 con dati ad altissima risoluzione per quasi tutto il territorio nazionale (da 5x5m fino a 1x1m), siamo in grado di effettuare analisi preliminari su vaste porzioni di territorio, in tempi relativamente brevi”, spiegano Gaia Righini e Lorenzo Moretti della Divisione Enea di Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali. “Nelle proiezioni di aumento del livello del mare dell’IPCC mancano i dettagli regionali che sono fondamentali per lo studio di un’area così ‘speciale’ come quella del Mediterraneo”, evidenzia Roberto Iacono, del Laboratorio Enea di Modellistica climatica. “In questo contesto la messa a punto del nuovo approccio consente di valorizzare gli sforzi che la comunità scientifica ed europea stanno facendo per condividere piattaforme di dati e informazioni ambientali e per realizzare un servizio climatico open access ad alta risoluzione, con scenari sempre più affidabili e realistici, al fine di valutare gli impatti futuri del cambiamento climatico e pianificare opportune strategie di prevenzione e adattamento”.

La terza fase consiste nei rilievi sul campo. Misure, campionamenti, datazioni e rilievi geologici consentono, infatti, di migliorare la qualità dei dati e dei modelli digitali della superficie terrestre, ma anche di individuare le diverse componenti che contribuiscono agli scenari indicati nelle mappe di inondazione e che i satelliti non sono ancora in grado di rilevare singolarmente, vale a dire tettonica, subsidenza, carico e compattazione dei sedimenti litosferici, aggiustamento glaciale e variazioni delle falde acquifere conseguenti allo sfruttamento delle risorse idriche. “Come ricorda il titolo ‘Time for change’ del Congresso INQUA 2023, è tempo di cambiare e, grazie a questo nuovo approccio, Enea può fornire in tempi rapidi un contributo a un inevitabile cambio di passo rispetto alle metodologie utilizzate fino ad oggi. Ad esempio, attraverso valutazioni e calibrazioni in tutto il territorio nazionale che consentirebbero di arrivare a una più puntuale definizione di quelle aree in cui la probabilità di inondazione deve essere considerata in dettaglio al fine di evitare rischi per le popolazioni e gli insediamenti produttivi”, conclude Sergio Cappucci.

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