C’era una volta un giovane scienziato esperto di botanica. Il dottor Hermann – così si chiamava – non era il tipo da rimanere abbacinato dall’incredibile varietà di forme e sfumature di colori della natura. Si era messo in testa di produrre, con la sua scienza e la sua tecnologia, fiori di colori diversi da quelli naturali e piante con foglie e rami di altre specie vegetali. Per questo, si era costruito una gigantesca serra di acciaio e vetro nella quale passava tutto il suo tempo in complessi e misteriosi esperimenti. Viveva così, isolato da tutto e da tutti, finché un giorno riuscì a realizzare il tulipano nero, la rosa turchese, l’orchidea arancione e l’abete rosso con gli aghi all’insù. Tutto esaltato inviò la notizia a giornali e tv. In breve, le sue invenzioni fecero il giro del web e se ne parlò in tutto il mondo. Furono moltissimi coloro che vollero avere queste anomalie vegetali a scopo ornamentale. Quindi, lo scienziato, eccitato dal successo, ampliò la sua serra e prese a lavorare con sé tanti e tanti giovani ambiziosi botanici e chimici. Diede loro tutte le istruzioni del caso dietro il solenne giuramento che ne mantenessero l’assoluta segretezza. Inoltre si dotò di tutti i macchinari necessari per una produzione intensiva, a cominciare da enormi lampade a luce e temperatura controllata. Immaginando di guardare la serra rinnovata dall’alto, si sarebbe subito notata una vasta macchia di luce chiara sempre uguale e costante e un pullulare di omini in tuta bianca che maneggiavano ampolle e provette e manovravano ininterrottamente sofisticati marchingegni. Il lavoro procedeva senza sosta con un organizzato sistema di turni e di competenze. Allo stesso modo, ne usciva una moltitudine di prodotti identici, venduti in tutto il mondo con grande successo. Il dottor Hermann, diventato in breve ricchissimo e potente, si fregava le mani per la contentezza e non finiva di rilasciare interviste e di concedersi agli uomini più influenti della Terra, che se lo contendevano per servizi fotografici e televisivi. Nel contempo, continuava a dedicarsi alacremente alla sua attività di laboratorio per offrire al pubblico sempre nuove realizzazioni vegetali.
Il suo successo cresceva sempre più e il suo potere era in costante espansione. Fu così che prese a potenziare la sezione della sua serra destinata all’utile e riuscì a immettere sul mercato fiori insettivori mangia-zanzare e piante carnivore mangia-topi. La fama del dottor Hermann raggiunse il suo apice finché diventò letteralmente planetaria. Una sera, mentre a passo veloce si avvicinava alla sua serra con nuove idee che gli frullavano per la testa, notò che intorno al suo laboratorio privato c’era qualcosa di sinistramente insolito: piante e fiori sembravano andati in sofferenza nonostante tutte le cure ipercontrollate che venivano loro ininterrottamente somministrate. Il frenetico andirivieni dei giovani botanici in tuta bianca era sparito e il silenzio imperava insieme all’immobilità. Quando arrivò all’ingresso del suo laboratorio, il dottor Hermann vide terrorizzato uno scenario di devastazione apocalittica: la porta d’accesso era stata divelta dalle liane forti e vibranti e i fiori e le piante ornamentali di sua invenzione erano stati malamente strappati e distrutti e giacevano sulle chiare piastrelle del pavimento in un intricato groviglio con i cocci dei loro vasi e i frammenti vitrei della strumentazione che fino a poco prima li alimentava.
Il famoso scienziato, pur profondamente scosso, trovò il coraggio di spingersi oltre e raggiunse la zona più remota del suo laboratorio. Davanti ai suoi occhi si paravano, come belve feroci e voraci, i fiori insettivori e le piante carnivore, cresciute a dismisura fino a tracimare dai loro vasi e invadere, come in una giungla, l’intero volume disponibile: erano gonfie di carne ed ebbre di sangue. Avvolti dalle loro foglie lunghissime e potenti, i pezzi e i brandelli ancora caldi e grondanti di sangue fresco dei corpi appartenuti ai più stretti collaboratori dello scienziato. Preso dall’orrore e dal terrore, il dottor Hermann fu naturalmente spinto a gridare aiuto ma fu un attimo e subito riprese il controllo di sé e soffocò le grida in gola. Di fronte a quello scempio terribile e immane, l’alacre uomo di scienza si fermò e, sopraffatto dall’insaziabile sete di denaro e di potere, concepì un progetto lucido e delirante: avrebbe costruito piante distruttive comandate a distanza per piegare definitivamente la natura e gli uomini alle sue ambizioni di dominio e di grandezza. Tutto il mondo sarebbe ben presto stato ai suoi piedi e lui l’unico dominatore incontrastato e idolatrato. In mezzo alle sue orribili creature, divenne egli stesso un mostro, indifferente al dolore che lo attorniava e alla distruzione di ogni essere vivente. Il suo animo si inaridì al punto da spegnersi e nulla al mondo fu più in grado di muovere in lui la benché minima emozione né, tanto meno, il più piccolo dei sentimenti. Lo scienziato pazzo, schiacciato dalle sue stesse aberrazioni tecnico-scientifiche e dalle sue smanie di dominio, finì per smarrire il suo soffio vitale e… per morire ancora in vita.
Caterina Majocchi
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