Milly celebrava la povera Rosetta, le mani sui fianchi, la voce profonda a contenere il dramma di una leggenda. Erano i primi anni 60 e Tinin Mantegazza aveva creato un luogo, il Cab 64, dove Cocki e Renato muovevano i primi passi cantando in argot e Milly attraversava la canzone popolare milanese con eleganza e disinvoltura. Ma la storia della povera Rosetta era l’opera epica di un fatto reale, descritta con un crescendo di pathos e di partecipazione, fino alla drammaturgia di un funerale corale di tutta la mala di piazza Vetra che grida vendetta a “quella mano Nera” che l’ha uccisa. Ricostruire la vera storia, non è semplice. Anche della canzone esistono due versioni, quella di Milly e quella di Nanni Svampa.
Ardemagni.blogspot.com ha fatto una ricerca accurata di cui proponiamo i passaggi più significativi “La povera Rosetta, una canzone della ligera (la malavita milanese di un tempo) ispirata dalla storia vera di una giovane prostituta (Elvira Andrezzi, ma i giornalisti la chiameranno quasi sempre Andressi) morta a Milano nel 1913 in circostanze poco chiare e pianta al funerale da parenti, amici e “non poca gente del quartiere ove abita la famiglia” (dal Corriere della Sera di sabato 30 agosto 1913)…. Ma partiamo proprio dal testo della canzone nella sua doppia versione.
(Versione 1: qui nell’esecuzione di Milly)
Il ventisei d’agosto / in una notte scura / hanno trovato un corpo / la squadra di questura //
Hanno trovato un morto / con tre pugnal nel petto / e quel corpo l’era / quello della Rosetta //
Hanno ucciso un angelo / di nome la Rosetta / Era di piazza Vetra / battea la Colonnetta //
Vicino c’è il questore / con quella faccia nera / con tutti gli agenti / ma l’assassin non c’era //
Chi ha ucciso la Rosetta / non è della ligera / forse viene da Napoli / è della mano nera //
Si sente pianger forte / in questa brutta sera / piange la piazza Vetra / e piange la ligera //
Dormi Rosetta dormi / giù nella fredda terra / a chi t’ha pugnalato / noi gli farem la guerra.
(Versione 2: qui nell’esecuzione di Nanni Svampa, e qui in quella dei Gufi)
Il tredici di agosto / in una notte scura / commisero un delitto / gli agenti di questura //
Hanno ammazzato un angelo / di nome la Rosetta / era di piazza Vetra / battea la Colonnetta //
Chi ha ucciso la Rosetta / non è della ligera / forse viene da Napoli / è della mano nera //
Rosetta mia Rosetta / dal mondo sei sparita / lasciando in gran dolore / tutta la malavita //
Tutta la malavita / era vestita in nero / per ‘compagnar Rosetta / Rosetta al cimitero //
Le sue compagne tutte / eran vestite in bianco / per ‘compagnar Rosetta / Rosetta al camposanto //
Si sente pianger forte / in questa brutta sera / piange la piazza Vetra / e piange la ligera //
Oh guardia calabrese / per te sarà finita / perché te l’ha giurata / tutta la malavita //
Dormi Rosetta dormi / giù nella fredda terra / a chi t’ha pugnalato / noi gli farem la guerra //
(a chi t’ha pugnalato / noi gli farem la guerra).
Perché sul come sia morta è nata la leggenda. La povera Rosetta era una giovane prostituta milanese, conosciuta da tutti come Rosetta. Originaria di piazza Vetra, come riportato nella canzone e nei pressi svolgeva la sua attività. Morì probabilmente a causa delle percosse subite, la notte precedente, da agenti della pubblica sicurezza nel corso di un arresto anche se – ufficialmente – i rapporti della questura confermarono la tesi del suicidio tramite pastiglie di sublimato corrosivo.
Rosetta, meglio “ Elvira Andressi (scrive l’Avanti il 28 agosto 1913, il giorno dopo la morte) era una povera ragazza del popolo, troppo presto vinta dalle tentazioni del lusso e, forse, del vizio. Ma, tuttavia, giovanissima e molto bella, ella volle tentare di sottrarsi al mondo equivoco nel quale era caduta: non forse, per redimersi, ma certo per non precipitare, ogni giorno di più, nella voragine dei bassifondi.
Molta grazia, molta verve, una graziosa voce, le parvero le qualità necessarie per migliorare la sua sorte e studiò per debuttare come canzonettista. Col nome di Rosetta ella era conosciutissima: aveva cantato al San Martino, raccogliendo molti ammiratori se non un grande successo. Poi aveva ottenuto delle scritture per i teatri di varietà di altre città d’Italia.Così le era stato possibile di prendere in fitto un quartierino di quattro stanze in via Gaudenzio Ferrari sette (e non sei, come si era detto) dove riceveva i suoi ammiratori.La sua carriera di canzonettista era a questo punto: lunedì scorso aveva terminato una breve scrittura al San Martino, ma avrebbe dovuto far parte dello spettacolo di tale ritrovo anche questa sera giovedì, e domani sera. Per il primo settembre era scritturata in un caffè-concerto di Genova.Poi la morte violenta il 26 d’agosto” . E l’Avanti descrive “ Era lì, era lì, con i colori della sua giovinezza ancora fiorente, dicono coloro che l’han vista e quasi si affaccia, nelle semplici anime doloranti, il sospetto che la toilette della salma sia stata preparata.
Sul carro sono quattro corone di fiori, con nastri bianchi sui quali sono altrettante dediche. Alle ore 16 precise il corteo si mette in moto, preceduto dalla musica Giuseppe Garibaldi. Seguono, particolare notevole, i preti cristiani che hanno assolto la morta anche dalla colpa di aver tentato di troncare la sua vita: in essi era, dunque, la convinzione che la sciagurata non volesse morire.
Il modesto carro funebre seguito dalla madre, dai fratelli, dalla sorella della morta e da oltre duecento persone – tutto il vicinato – si avvia alla chiesetta della Trinità. Durante il percorso ai balconi ed alle finestre vi sono numerosi curiosi : e per la strada la gente si ferma a compiangere la sorte della giovane donna. Sull’entrata della rimessa di Porta Volta, si affollano molti tranvieri e molti operai
Dopo la funzione religiosa il corteo procede per la stazione dei [illeggibile n.d.r.] per il trasporto della salma a Musocco.
Ma il corteo non si scioglie: la bara è trasportata in un breve recinto destinato ai discorsi : e tutti la seguono.
Vi sono alcuni minuti di indecisione: chi parla? Ma un antico pregiudizio popolare sembra vietare agli uomini di parlare sulla bara di una ragazza.
Gli uomini addetti al trasporto funebre si impazientiscono di questa breve attesa e tentano di portar via la bara: non è bello, non è pietoso.
– Aveva venti anni! – Esclama con accento veneto una donna – E’ morta a venti anni! Non sentite il nostro dolore ? Aspettate, dunque, prima di portarcela via… Abbiamo aspettato tanto tempo anche noi!
– Macché. Gli inservienti invocano l’autorità di un vigile urbano, il quale, a onor del vero, interviene, ma entrato nel recinto e compreso che cosa si voglia da lui, si allontana in silenzio.
Ed allora si odono poche parole tronche, strozzate dai singhiozzi, del fratello della morta. Un brivido di commozione invade la folla.
– Mamma – chiede una bambina che accompagnata da una signora era entrata nel recinto per curiosare – l’avevano bastonata?…
E vi è nella sua voce infantile, come un accento di sorpresa e di sgomento.
Il gruppo dei parenti si allontana, mentre la folla gli apre il varco aprendosi in due silenziose colonne.
L’autorità giudiziaria mantiene ancora il più assoluto riserbo sui risultati della perizia necroscopica”
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano