Presentazione del libro del giornalista e saggista Giuseppe Mele
Il Male assoluto sullo schermo
Giovedì 12 ottobre dalle ore 18.00
presso la sinagoga Beth Shlomo corso Lodi 8/c (MM3 Porta Romana)
Ne discutono con l’autore Giuseppe Mele….
- Pino Farinotti (Critico Cinematografico),
- Giampaolo Giorgio Berni Ferretti (consigliere di Municipio 1):
- Roberto Zadik (giornalista di Mosaico),
- Cesare Manucci (Direttore Pensalibero.it)
- Davide Romano (Museo Brigata Ebraica),
- Walter Meghnagi (Presidente della Comunità ebraica).
Modera. Fausta Chiesa (Giornalista del Corriere della Sera).
Sono previste proiezioni commentate dal critico cinematografico Pino Farinotti
“Il male assoluto sullo schermo – 495 film in 92 anni su Olocausto ed altri genocidi”.
(…) Credo che non esista tema, al mondo, più raccontato dell’Olocausto. Ho letto molti libri e ho visto tanti film, è il mio mestiere, ed è difficile che ci sia un testo sul quale mi soffermo. “Il male assoluto” è un documento che va certo considerato, perché, pure nel mare immenso di tutto ciò che è stato raccontato, porta una visione più larga e più profonda. Cerco di indentificarne, nelle sintesi, l’essenza, la qualità, l’utilità, le affinità.
L’autore, Giuseppe Mele si esprime da una competenza assoluta. Giornalista, blogger, sindacalista della comunicazione, consulente della UE, ha diretto varie testate cartacee e online. Nella quarta di copertina scrive. “Il male Assoluto sullo Schermo” analizza la rappresentazione cinematografica come l’Olocausto e altri genocidi nel corso degli ultimi decenni. Il libro esamina anche come il cinema sia visto in modo diverso da culture e cineindustrie diverse e come la globalizzazione abbia portato alla notorietà altri olocausti e genocidi… La rappresentazione cinematografica dell’Olocausto e di altri genocidi continua ad essere un tema di grande rilevanza e importanza nel mondo.” Ed ecco le selezioni e le sintesi; è interessante la visione di ciò che accade, adesso, in Tunisia, Marocco, Eritrea eccetera. Quei Paesi hanno organizzato veri e propri campi di concentramento dove si realizzano deportazioni e sfruttamento. Nessuno li accomuna a quelli nazisti, perché quelli nordafricani sono sconclusionati, nelle mani di criminali e predoni che non hanno certo intenzioni di razzismo, genocidio, pensano al compenso che riescono a cavare da quella povera gente. Non c’è l’organizzazione di morte industriale di Auschwitz. I numeri. Per i ricercatori, tedeschi implicati nell’ Olocausto sarebbero 250mila. Di questi, nei vari tribunali, ne vennero indagati, fra il ’45 e il ’49 circa 170mila con 6700 condanne. E qui vale una differenza significativa, e decisiva, numeri che determinano due culture e ideologie… diverse. Solzhenitsyn, il grande scrittore russo, dissidente, nel suo “Arcipelago Gulag”, scrive questi numeri: fino al 1966 sono stati condannati 86mila criminali nazisti. Il Tribunale supremo sovietico, sui campi del Gulag ha condannato… dieci persone. Culture differenti, appunto. Hollywood. Laggiù occorreva stare molto attenti a ciò che si faceva vedere nei film. Così quel cinema era riluttante a condannare l’antisemitismo nazista. Ed è curioso un dato: i padroni delle major erano quasi tutti ebrei. Inoltre, e non è un dettaglio, c’erano di mezzo tanti soldi. Il coraggio di violare quella regola, di mostrare le cose come stavano, lo ebbe solo un cineasta, ma che contava, Charles Chaplin nel suo Il grande dittatore. La documentazione di ciò che accadeva nei campi di concentramento è vastissima. Russi, inglesi e americani avevano i loro gruppi di prodizione. La più importante era la Army Units americana. Le migliaia di ore girate rappresentavano gli orrori dei campi come Auschwitz, Buchenwald, Belzec, Bergen Belsen, Dachau, Mauthausen e decine di altri. Le immagini venivano divulgate nelle rassegne e nei cinegiornali. Finché ci si rese conto che quelle immagini, così brutali, era bene gestirle, attenuarle, pur non toccandone i significati. Il film Il diario di Anna Frank, non indugia mai su momenti che mostrino l’orrore nazista. Lo sponsor American Gas Company nella versione dell’opera televisiva Judgmentat Norimberga esige che la parola gas non venga mai pronunciata. Due modelli esemplari di quell’indicazione. Il mio racconto è quella che si dice la punta dell’iceberg. 495 film fanno impressione. I classici che abbiamo visto naturalmente ci sono tutti. E vengono giudicati in una chiave che non è quella convenzionale della critica corrente. La visione è strumentale e risolutiva. E poi ci sono le migliaia di produzioni, fiction e documento, che magari non hanno trovato distribuzione ma analizzano l’Olocausto da prospettive e visioni che apportano notizie sconosciute. Per questa ragione l’opera di Giuseppe Mele assume un valore particolare, e si distingue dall’immenso libro sull’Olocausto.”
Pino Farinotti (da My Movies)
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