La democrazia in Africa sembra confinata ai luoghi del turismo de luxe, come nell’arcipelago della costa nord–occidentale di Capo Verde (ab. 600mila pil$2 miliardi), nelle isole equatoriali di Mauritius (ab. 1,2 milioni pil$12 miliardi) e Seychelles (ab. 100mila pil$ 1,5 miliardi) e nell’arcipelago nell’Oceano Indiano, São Tomé e Príncipe (ab.223mila pil$526mila). In realtà c’è il gigante sudafricano (ab. 60 milioni pil $426 miliardi) che sta però peggiorando tutti i suoi indici, e c’è il Ghana (ab. 33 milioni pil$78 miliardi). Seguono Benin (ab. 13 milio ni pil$17 miliardi), Botswana (ab. 2,5 milioni pil$17,5 miliardi) e Namibia (ab. 2,5 milioni pil$12miliardi). Senegal, Tanzania e Zambia non hanno mai avuto colpi di Stato. Poi Kenya e Angola. Si considera l’area democratica africana limitata a 9 paesi e 111 milioni di abitanti. Freedom House considera democratici 5 su 52 Stati africani, 20 parzialmente democratici, 27 non democratici.
Alla mancanza di democrazia corrisponde la forza del terrorismo. Nel 2021 la maggioranza degli attacchi del terrorismo è avvenuta nell’Africa nera per mano del Daesh (in Burkina Faso, Mali dove sono morti 300 peacekeepers della missione di pace Minusma, Niger, Ciad, Uganda, Sudan, Somalia, Libia e Tunisia), di al-Qaeda, di gruppi locali come la nigeriana Boko Haram, iGSPC mauritani, le Allied Democratic Forcescongolesi, i Cabo Delgado mozambicani, gli al-Shabaab somali. In Nigeria la guerriglia jihadista di Haram nel nord-est corrisponde al banditismo nel nord-ovest, ai sabotaggi delle infrastrutture petrolifere a sud sul Delta del Niger ed alla uerra tra tribù di contadini e pastori nella middle belt centrorientale. In 12 stati del nord si applica la sharia dell’Islam integralista. Paradossalmente le operazioni antiterrorismo Global War on Terror dal 2001 al 2021e Pan-Sahel Initiative nel 2002-5 hanno favorito la repressione di regimi spesso delegittimati facendo saldare nazionalismo e jihadismo.Il terrorismo militarizza i flussi migratori ed utilizza tecnologie avanzate a basso costo come droni ed intelligenza artificiale per attacchi complessi. In Uganda e Congo democratico l’Islam salafita-jihadista è divenuto strumento di contestazione delle élite compromesse e delle forze esterne di occupazione ed insieme giustificazione alla richiesta di risorse finanziarie e militari dall’Occidente. La regione somala Mudug nel Galmadug è contesa da 7 anni tra Al-Shabaab e la missione Usa Africom, le forze speciali somale ed etiopi.
Il triangolo si chiude con i liberi mercenari delle russe Wagner (5.000 soldati dislocati in Africa) e Rusich, le cinesi Beijing DeWe Security Service e Huaxin Zhong Ano e la turca Sadat. I wagneriti sono padroni della Repubblica Centrafricana quali pretoriani del presidente Touadera e presenti in altri 11 stati africani (Cirenaica in Libia, Mali, Centrafrica, Sudan, Guinea, Congo democratico, Madagascar, Eritrea, Zimbabwe, Costa d’Avorio e Burkina Faso) con interessi sui minerali preziosi e oro, addestramento degli eserciti locali, controllo degli apparati di sicurezza. Il Financial Times ritiene che l’impero minerario della Wagner abbia generato $ 250 milioni tra il 2018 e il 2021.E’ l’eredità del gruppo di Casablanca, i paesi africani filosovietici (Algeria, Ghana, Guinea, Mali, Sudan, Libia, Marocco)all’insegna dell’antiapartheid. A parte Angola, Mozambico, Etiopia e Somalia, il socialismo africano era poco marxista ma tutto nazionalismo, panafricanismo e autoritarismo. L’Urss a Russia non forniva aiuto allo sviluppo se non in casi isolati come Assuan, fu alleata fino ai ’90 dell’Algeria di Boumediene, del Congo di Ngouabi, del Benin di Kerekou, dell’Etiopia del Derg; fu protagonista in Angola, Egitto, Guinea, Mali Marocco, Somalia. Nel 2010 Mosca riaprì 40 ambasciate russe; nel 2019 Putin radunò a Soči 40 capi di Stato africani; nel 2022 metà dei 35 Stati astenutisi all’Onu sul sostegno all’Ucraina sono stati africani. Forte dell’antico antimperialismo di facciata e del rifiuto di dare lezioni di democrazia, il ritorno russo è l’interscambio commerciale di $19,5 miliardi nel 2018 ($3,4 del 2005), la cooperazione militare e di intelligence con dieci paesi africani (Niger, Centrafrica, Tanzania, Zambia, Madagascar, Botswana, Burundi, Guinea-Bissau, Sierra Leone, Eswatini) e la protezione personale dei vertici presidenziali. Sanzionata, la banca VTB nel 2019ha passato le sue operazioni africane all’Afrexim bank del Cairo inclusa la risoluzione del debito libico. La Russia vende agli Stati africani (Algeria, Angola, Botswana, Centrafrica, Gabon, Ghana, Guinea-Conakry, Etiopia, Libia, Mozambico, Namibia, Nigeria, Rwanda, Sudafrica e Sudan) ogni tipo di arma inclusi reattori nucleari. La Turchia, dalle serie tv e gli scambi educativi all’impegno militare ed alle imprese e prodotti, è ormai ovunque in Libia, Algeria, Tunisia, Marocco e Senegal.
Ci sono stati in Africa 169 colpi di stato dal 1950 al 2010, oltre 200 ad oggi, di cui la metà favorevole agli insorti. 2 all’anno dal 2000; 4 all’anno tra il ‘60 e il 2000, con picchi negli anni ’60. L’abitudine al colpo di Stato militare è dovuta all’instabilità statale, al senso di impunità, all’assenza di trasparenza, al rifiuto del risultato elettorale da parte di etnie e burocrazie sconfitte, alla disunità della comunità internazionale, all’attrattività dei modelli di regime autoritari, alla scarsa inclinazione verso elezioni, legalità, legittimità democratica e diritti. I colpi di stato si ergono però contro le presidenze più longeve del mondo con limiti di mandato facilmente rimuovibili. Nel Burundi il presidente Nkurunziza è al terzo mandato nella spietata repressione degli oppositori. Nel Madagascar a novembre Rajoelina si candiderà per un secondo mandato. Nel Sudan, Bashir (ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità), dopo 26 anni passati al governo ha mollato nel 2019. Nel 2021 il 79nne Museveni è stato eletto presidente dell’Uganda per la sesta volta (le precedenti nel ’96, 2001, 2006, 2011, 2016) ogni volta tra arresti di oppositori e accuse di violenze e brogli. Nel 2022 nel corrotto petrostato della Guinea Equatoriale(ab. 1,2 milioni pil 17 miliardi), affermazione bulgara per l’81nne Mbasogo, da 43 anni al potere, tra i pochissimi recatisi alle urne. In Eritrea Afewerki governa dal ‘93, primo e unico presidente. Deby è al quinto mandato consecutivo dal ‘90 in Ciad. Nella Gibuti corrotta(ab. 1milione pil $1,5 miliardi)Guelleh dal 2021 è al quinto mandato consecutivo. In Camerun, l’86nne Biya governa da 37 anni, in Zimbabwe, dopo 37 annidi Mugabe, Mnangagwa governa dal 2017. Nel Gambia dopo 22 anni di potere di Jammeh ha vinto Barrow. Nel Rwanda, Kagame presidente dal ‘94, governerà fino al 2034.Nel Congo Brazzaville il 76nne Nguesso guida il paese dal ‘79. In CamerunBiya da 34 anni decide le sorti della terra promessa dell’Africa centrale. In Mauritania(ab.4 milioni pil $4 miliardi)il 66nne Ghazouani, vincitore sul jihadismo, governa dal 2019sul mix di arabo-berberie neri. Nell’Eswazimi, enclave del Sudafrica, re Mswati III di Swaziland siede sul trono da 31 anni con 12 mogli ed innumerevoli concubine. Prima del colpo di stato, il Gabon (ab. 3 milioni pil $19 miliardi),era governato dal figlio Bongo al terzo mandato settennale dopo 41 anni di presidenza di Bongo padre. Nel Burkina Faso Compaoré ha ceduto al colpo di stato dopo 27 anni. Nel Togo il presidente Gnassingbé, al governo del paese dal 2015, ereditò dal padre, al potere dal 1967 grazie a un colpo di Stato. In Liberia (ab. 5 milioni pil $4 miliardi), fondata nel 1847 da afroamericani schiavi affrancati, solo nel 2018 c’è stato il primo cambio di potere pacifico dopo 70 anni, In Angola, dal 2017 governa Lourenço, succeduto a Santoscapo dello Stato per 38 anni. In Nigeria i governi militari tra ‘76 e ‘79 e tra ‘99 e 2007 Obasanjo e tra ‘93 e ’98 Abacha rubarono $350 miliardi e $4 miliardi. Nel 2015 per la prima volta è stato eletto il candidato dell’opposizione. Le violenze nel 2022 hanno causato 10mila morti e 5 mila rapiti. Touadéra, prima del colpo di stato, era presidente del Centrafrica dal 2016. In Guinea il presidente Condé è stato spodestato nel 2021.Il Sud Sudan, indipendente dal 2011 dopo la guerra civile del 2013 avrà le prime elezioni generali nel 2024. Certo i nuovi presidenti non sono o non erano tiranni africani grotteschi, crudeli, allergici ai diritti umani come Dada Signore universale nell’Uganda, Nguema, Signore universale nella Guinea Equatoriale, Bokassa imperatore nel Centroafrica, Mobutu messia del Congo. Erano o sono però presidenti che hanno svuotato di significato il termine democrazia.
Senza successo, l’Unione africana alla 36 sessione ha intimato tolleranza zero sui colpi di Stato contro Burkina Faso, Mali, sospese e sanzionate fissandone il ritorno a un governo democratico rispettivamente per il 2024 e per il 2025. Colpi di stato riusciti anche in Ciad, Guinea, e Sudan e tre falliti (Gibuti, Guinea Bissau e Niger). La giunta golpista del Mali, malgrado il miliardo di euro annuo speso e le decine di migliaia di uomini schierati dal 2013 dalla Francia ha vissuto la cacciata di ambasciatore e 2.500 militari di Parigi, come una seconda indipendenza. La nuova guerra fredda in Africa è tra democratici ed antidemocratici, mentre le narrazioni post-coloniali afroamericane e politicamente corrette considerano un tabù, qualunque interferenza in Africa. La decolonizzazione, dopo l’entusiastico panafricanismo dell’autodeterminazione, si è impantanata in problemi strutturali insolubili e si è coniugata per dittature. Il cesarismo del primo periodo, spesso sacro, messianico, magico, legittimista è andato laicizzandosi ma è rimasto, però, il malgoverno incapace nel cui degrado naufragano infrastrutture, codici, burocrazie nella criminalità dilagante. Gli Stati post decolonizzazione sono entità fantasma che, nel massiccio flusso migratorio, non controllano territorio e tribù, che osteggiano lo sviluppo se non ne hanno un ritorno immediato. Calza l’esempio della Nigeria, gigante da un quinto della popolazione nera africana, 38 stati più la capitale Abuja, 250 tribù da hausa-fulani a yoruba, ibo, efik, edo, ibibio e tiv con altrettanti dialetti. settimo paese più popoloso al mondo. I suoi funzionari spendono senza controlli e senza contabilità $670 milioni l’anno, una falla in piena di corruzione.
L’Africa è quasi assente sui media, appare solo nell’1,6 % dei notiziari solo per l’immigrazione. L’ignoranza europea sull’Africa fa il paio con l’idea africana che gli europei siano gli odiati francesi. Non si può ignorare il 60 % sotto la soglia di povertà, i6 milioni dalla fame estrema, i546 milioni poveri, 74 % in più dal ‘90.Non si può ignorare che l’exploit di $ 7,4 miliardi di investimenti privati resta ben poca cosa. Non si può ignorare che i governi africani spendono $ 5,5 miliardi in armi al giorno e che da questo dipendono molto guerre, terrorismi, disastri, dittature, miseria, carestie e slum. Esiste però un’Africa della rapidissima crescita economica e della diffusione massiva delle tecnologie innovative cui l’Europa non sa parlare. L’Europa, invece di sostenere ordine e stabilità e legalità’, si trascina con l’Africa in un vademecum di clima, Lgbt, diritti ed altre istruzioni senza badare a non mostrare la faccia da rapace Francafrique. La prima cosa è togliere l’esclusiva del rapporto eurafricano a Parigi ora che le si è ridotto a Gibuti. E dialogare con voce europea con il continente nero senza pretendere troppo pur di ottenere il minimo basilare di convivenza civile. Si deve mostrare che la democrazia non è per forza impopolare.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.