I ricavi delle emittenti Tv in chiaro sono pubblicità. Le quote di mercato sono del 47,3% per la Rai, del 34,3% per Mediaset, del 4,3% per Discovery, del 2,6% per La7 e del 2% per Sky. 23 milioni di famiglie hanno un televisore a casa, ma la media dei telespettatori è di 8 milioni in un giorno medio, picco di 24 milioni per la prima serata tv e punto più basso di 5 milioni. L’audience complessiva è calata di 1,5 milioni, circa il 10% dello share in meno. Nella variazione dei numeri, è avvenuto un cambiamento del pubblico. Generalmente il pubblico televisivo è stato femminile, anziano e povero; ora invece è cresciuta la quota di laureati, benestanti e uomini, interessati all’informazione approfondita, ferma restando la parte deli anziani, invariata. I ricavi delle emittenti a pagamento sono i telespettatori. La Sky ha quasi tutto il mercato (80,3% del fatturato) e Mediaset il 12,4%. I canali in streaming non sono monitorati dall’Auditel ma gli abbonati alla tematica più diffusa, il calcio, sono 500mila, per un incremento rispetto al popolo Tv di 200mila spettatori (Osservatorio Tv dello Studio Frasi).
La concorrenza alla Tv non è data dai social o altre piattaforme ma da ristoranti, pub, case di amici, circoli, bar, sesso. Se si esce non si guarda la Tv. Se si sta in casa la si accende, magari senza guardarla. Nel mondo dell’audiovisivo, le emittenti mantengono una inevitabile arretratezza tecnologica, anche se è cresciuta l’interattività (soprattutto pubblicitaria) e l’offerta di canali via rete. In realtà l’audiovisivo avanzato, quale quello dei games, esce dall’emittenza per entrare nell’offerta digitale, che esula dalla Tv. Talent, reality, quiz, talk sono variazioni di programmi che non cambiano il modello di business Tv. Quando nella convergenza tecnologica il computer ingloberà’ l’emittenza, quale enorme app, la Tv sparirà come già successo al cd, al videoregistratore, alla macchina fotografica.
Nel frattempo, si è ristretto il campo della Tv Kabul, vale a dire della Tv delle inchieste di sinistra che andavano a caccia dei crimini degli avversari politici di destra. Rai3 si è inaridita spostandosi materialmente quasi tutta su La7. Via Fazio, Gramellini, Berlinguer, Annunziata, Saviano, da ultimo, anche la già spia cecoslovacca, l’88nne Augias, via dopo 63 anni di Rai. Con giuste parole ha commentato, vogliono demolire la Rai dei comunisti. In realtà, come è facile notare, la demolizione sopraggiunge in gran parte per limiti d’età. A La7 stanno tutti a guardare il sol dell’appassir. Anche per riduzione di spesa, abbondano i documentari storici, quasi sempre sull’ultima guerra e sull’ascesa del nazismo. Oppure le inchieste, anche datate, sugli anni della strategia della tensione e del terrorismo. Si ama ricordare in tutte le salse, da tutte le angolazioni, il nemico nazifascista battuto a suo tempo dai comunisti.
Si cerca di ricreare un parallelo con la lotta contro la destra odierna. Si intervistano magistrati e poliziotti senza un reale interesse. Quel che conta è il momento del brigatista, del compagno che sbaglia, l’ora del delatore la cui confessione scendeva nell’estuario dopo ampia e sofferta analisi coscienziosa, sempre alla luce dei libri sacri. La vittoria sul terrorismo è un dettaglio di poco conto mentre si respira l’aria del tempo in cui la difesa del sistema sociale si pasceva della saggezza comunista, il sapore dell’epoca eroica in cui l’assalto al sistema era di hybris comunista. Il bel tempo, insomma, in cui il mondo comunista era egemone ovunque, nell’intellettualità come nella cronaca. Tutt’intorno, giravano come ufo estranei al buon popolo, maleodoranti nel fisico e nella mente, i criminali veri; fascisti, stragisti, Nato, amerikani, insabbiatori democristi, doppi, tripli, quarti stati segreti secretati, criminali nazisti, stupratori, picchiatori, mafiosi, nostalgici, massoni, eversori; i veri cattivi.
Così se la raccontano, come i nonni e li zii che avevano l’alibi d’essere in prima linea in quella guerra di armi e propaganda. Così la raccontano, come l’hanno sentita raccontare da bambini. Oppure vecchissimi, si ripetono la favola bella che si ripetevano da ragazzi, da uomini, da maturi. La favola bella che la storia uccise e che nella pausa pubblicitaria d’Ermione si può far risorgere. La favola bella che si può ripetere a vantaggio di un pubblico che vuole ancora essere illuso. Che vuol sentirsi raccontare dei dieci scudetti vinti dalla Roma, che vuol gioire delle vittorie palestinesi, che non vuole ricordare la vita quotidiana, tutta amerikana nel cibo, nella bevanda, nel format, nel cellulare, nello screen, nell’auto, nell’abito, anche nelle forme d’irriverenza e di rivolta.
Qualche volta modernizzano. Il fascista massone mafioso stupratore diventa un moderno femminicida. Oppure il vecchio comunista, l’antico militare sabaudo, il comandante fascista, puranco il camorrista coartato dalle proprie origini, si fanno tutti grigi liberali che con un po’ di sforzo potrebbero diventare progressisti. Giusto per l’inclusione, necessaria nei tempi. Con bassi costi e refrain, tengono. Il pubblico c’è, anzi aumenta. Un pubblico anziano nella crescita dei vegliardi; un pubblico istruito, ora che le teste più intelligenti e pensanti finiscono, se non celebri, ai giardinetti.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.