Basilisco, De Luca si presenta come un vero comunista. Infatti, dal ’75 a 26 anni fu segretario salernitano del Pci per 10 anni. A 44 anni venne eletto sindaco nel ’93 e riconfermato, come uno dei primi cittadini italiani più longevi, 5 volte fino al 2015 per un totale di 22 anni di mandato. Si arriva al trentennio con gli 8 anni di governo della Campania, dal 2015. La sua esperienza di amministratore locale e del Sud è senza rivali. Chiamato Pol Pot nel partito, Sceriffo da sindaco e don Vicienzo da governatore, ha attraversato le trasformazioni della sinistra con indifferenza per la ragione di essere rimasto quello che era e di coltivare una comunità, quella comunista meridionale, mai cambiata nel tempo.
Il professore di filosofia De Luca cominciò con i braccianti e ricorda in questo l’ingegner Bordigada Ercolano, il vero fondatore del Pci, colui che fece la scissione del ’21 cui si aggregarono i torinesi (Tasca, Gramsci, Togliatti). Una delle tante verità falsificate (Tasca era il capo degli ordinovisti ed il fondatore dell’Unità) dai comunisti nel loro tipico stile sbianchettante. Bordiga capiva bene il paese, tutto contadino, ed anticipò la via rivoluzionaria dalle campagne, ma non era un terrorista come Stalin e Mao; anzi fu una delle ultime voci coraggiose ad opporsi al georgiano ei congressi internazionali. I marxisti meridionali dovevano fare i conti con realtà, un po’ sudamericane, un po’ mediorientali, dove la semplice lotta di classe non era sufficiente né a capire, né ad agire. I marxisti meridionali dovevano lavorare in assenza di una vera economia solida con il rischio che l’auspicato intervento pubblico diventasse tutta burocrazia, cioè tutta camorra, pendant a quella criminale. Nella macchina stato italiana, già avviatasi alla caricatura borbonica pulcinellesca, questi marxisti meridionali avevano però costruito il mito dei comunisti, quelli seri; così il Pci conquistò la funzione pubblica e gli insegnanti, mostrandosi partito serio, d’ordine, di inflessibile difesa della dignità’ dell’uniforme e del lavoro pubblico. Un mito per il Sud.
Un sentiment non troppo dissimile da quello della destra della Meloni, delle sue sorelle, dei suoi fratelli, dei suoi parenti, della famiglia d’Italia. Roma è più sud che nord; i suoi possidenti credono più nell’usura che negli investimenti; ogni cosa è per parentela e l’impresa è spesso cosa evanescente. Roma è molto più vicina, malgrado le aspirazioni a Napoli che a Milano. Dopo il tempo nostalgico, dopo il tempo del doppiopetto, dopo la difesa dell’Occidente, nella modernità la revanche della destra è stata la legalità’, il rispetto delle regole, il recupero delle possibilità di partenza uguali per tutti. E l’idea del primato della politica e del voto, come che il convincimento dell’elettorato contasse di più della turbofinanza, del digitale globalizzante, delle decisioni di struttura ultranazionali e ultra pubbliche.
Così parla il comunista De Luca. E sembra fascista. Rivendica il primo diritto, quello alla vita, alla sicurezza, al minimo civile di convivenza sociale. E lo dice uno che ha dovuto sempre contrastare le pistole, i mitra, i coltelli, la violenza spicciola e sistematica. La sicurezza non è fascismo, non è autoritarismo. La sicurezza è un diritto per la povera gente. Sui diritti sottolinea, sono fondamentali se affrontati rispettando tutte le sensibilità, a cominciare da quelle più diffuse, della nostra tradizione. Se tu vuoi dialogare con gli altri, devi cominciare dalla tua identità, dalla tua identità forte. Se no all’altro che ha una identità diversa, cosa gli dici? Poi dialogare va bene, con rispetto. Di fronte alla violenza, al terrorismo non si transige. Si reprime. Poi si capirà, si analizzerà, si vedrà. Intanto, repressione subito. Così parlò il sindaco che munì i suoi vigili di manganelli per difenderli dalla delinquenza albanese e che guarda caso fece un decennale corpo a corpo con i delitti amministrativi che gli venivano attribuiti finché la Bindi lo definì elettoralmente impresentabile.
Ecco il comunista De Luca che sembra fascista, un fasciocomunista per la gioia di Pennacchi. Per sopravvivere nella politica italiana cinque decenni De Luca si è fatto un gran pelo sullo stomaco. Il Pci è morto perché non si è saputo trasformare secondo la realtà. Con grande onore, ma è morto. Con le bandiere al vento ma è morto….Noi volevamo lasciare la casa ai nostri figli, davamo la vita per questo. Oggi gli operai vogliono che i figli possano scegliere, magari lasciare il lavoro se opprime la vita. Il mondo è cambiato per le classi, anzi le classi sono scomparse perché il salario non è più tutto. La rete di relazioni di comunità politica e no, di battaglie comuni, di complicità, di amicizie, di collaborazioni tecniche nei decenni si è fatta grandissima per De Luca, sempre più forte con la tendenza alla rivendicazione dell’orgoglio meridionale a cominciare dallo stop alle macchiette o a quei film dove si propongono ai ragazzi camorristi come eroi tatuati.
La sua è una sfida ai vertici milanesi del partito, eletti non dagli iscritti ma da un vago e ondivago mondo progressista. Quel mondo lo voleva rottamare e De Luca ha rovesciato il tavolo passando lui a guidare lo sfasciacarrozze. A forza di polemiche e di sberleffi alla Totò, a creato il caso vantando la forza dell’elettorato ce lo sostiene. Proprio come fa la destra, De Luca non considera i principii, ma eleva buon senso e voti, anzi considera nulli i politici senza elettori, che non sanno parlare chiaramente. Li chiama anime morte. Quella di De Luca è una devastazione per il Pd, il suo partito. Forse per ottenere la terza candidatura ed il terzo mandato in Campania. O forse per conquistare l’anima della sinistra e rifarne partito, come nei bei tempi andati; forse in quelli futuri.
Quando parla di destra, De Luca, talvolta, fra mille ammiccamenti la indica come fascista per suscitare l’entusiasmo in una parola che possa cementificare l’unione e la compattezza dei suoi. Eppure ci si rende conto sempre più conto dell’assurdità di certi steccati, delle divisioni create ad arte, dei valori cartonati, delle vuote retoriche. Il problema vero ce De Luca e la destra devono affrontare è la lontananza dell’Italia bizantina, mediorientale e balcanica dall’Occidente. Un problema comune.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.