La tradizione meneghina voleva che la “pacciada natalizia”, cioè la grande abbuffata, avvenisse la sera del 25 dicembre. Il giorno della vigilia era riservato alla penitenza, alla confessione e alla preghiera, con le chiese della città affollatissime e code lunghissime per entrare in Duomo o nelle altre principali basiliche e recarsi ai confessionali.
Il giorno di Natale i milanesi trascorrevano mattina e pomeriggio rigidamente separati per sesso. Gli uomini a fare le ultime commissioni nei rari negozi aperti, aperitivi al bar per salutare gli amici, salutare lontani parenti, mentre le donne, spesso raggruppate tra nonne, madri, figlie, zie e cugine, tutte ai fornelli a preparare leccornie e delizie per la “gran pacciada” che sarebbe avvenuta la sera stessa.
A metà pomeriggio il traffico iniziava a diminuire, per scomparire del tutto verso l’imbrunire, quando anche l’ultimo “offelee”, chiudeva il suo negozio, dopo aver venduto l’ultimo panettone al solito ritardatario.
I tram, gremiti all’inverosimile e il traffico privato, vedevano intere famiglie spostarsi per recarsi da amici o parenti per il cenone.
Una dopo l’altra le vetrine del centro erano private della luce e poi le claire scorrevano chiudendosi rumorosamente, col tipico rumore di ferraglia; i negozianti correvano poi a casa, buoni ultimi.
La consuetudine milanese voleva che gli auguri di Natale si arrestassero all’ingresso della sala da pranzo, come a conferma che la susseguente “pacciada domestica”, fosse qualcosa più vicino al pagano che al cristiano, una reminiscenza celtica…
Le tavole ospitavano ghiottonerie che avevano impegnato per quasi tutto il mese di dicembre i trasporti, i macelli di mezzo nord Italia, gli allevatori, agricoltori, salsamentari, pizzicagnoli, pasticceri e gastronomi…
Dal Friuli, come ogni anno, arrivavano dai 3.000 ai 4.000 maialini da latte, dall’Emilia entravano dentro il Dazio, per tutto il mese di dicembre, circa 1.500 quintali di salumi; circa 2.000 pasticceri di tutta Italia, venivano assunti dalle ditte di dolciumi milanesi per lo stesso periodo, per produrre panettoni da spedire in mezza Penisola.
I boscaioli delle Prealpi lombarde lavoravano tutto il mese per tagliare abeti e frasche di pino, che venivano spedite a Milano in camion e treno, per addobbare le case e, soprattutto, i negozi.
Il Macello Pubblico abbatteva oltre 30.000 animali da carne, una volta e mezzo il consumo normale e alla Stazione di Porta Vittoria arrivavano treni colmi di leccornie dalle Colonie dell’Africa Italiana e da tutta Europa.
Tonnellate di banane, di datteri, migliaia di fagiani dall’Ungheria, quintali di caviale dalla Persia e dalla Russia, oltre 600 quintali di pesce solo nella giornata del 24 dicembre, 100 quintali di capitoni dalla zona di Comacchio, 3 quintali di tartufi dal Piemonte, ostriche dall’Olanda e dalla Bretagna, mitili dalla Sardegna e dalla Puglia, frutti siciliani e spagnoli…
Il record spettava però al pollame e ai pennuti in generale.
La “pacciada meneghina”, vedeva infatti i bipedi piumati al posto d’onore.
Il Mercato di Porta Lodovica, che normalmente ospitava la vendita di pollame per tre giorni la settimana, per le due settimane antecedenti il Natale, restava aperto tutti i giorni, per 20 ore al dì.
Ogni settimana arrivavano oltre mezzo milione di capi di pollame!
Ovviamente il Mercato di Porta Lodovica smerciava poi una parte di quell’assurdo numero di volatili anche in Piemonte, Veneto, Canton Ticino ed Emilia.
I polli facevano la parte del leone, nel milione di pennuti che arrivavano in città in quelle due settimane, seguivano i capponi del veronese, le oche del cremonese, tacchini da tutto il centro Italia, sino a qualche decina di migliaia provenienti dalla lontana Serbia.
I pizzicagnoli di tutta la città avevano prodotto da settimane una quantità colossale di antipasti tipicamente meneghini, senza contare quelli che si avventuravano a preparare delicatezza di altre cucine, italiane e non.
Fortunatamente, tutta questa opulenza e sfarzo, non faceva scordare ai milanesi che c’era chi non poteva passare una serata tra amici e parenti a mangiare e bere sino a svenire… le numerosissime associazioni che si occupavano di aiutare i poveri, venivano lautamente finanziate nelle settimane precedenti il Natale, in modo da organizzare “pacciade” anche per i più sfortunati.
Ogni sera di Natale, si svolgevano cenoni per i poveri, nelle sedi delle associazioni o nei saloni delle parrocchie, con migliaia di volontari che preparavano da mangiare e lo distribuivano ai bisognosi. Quasi 10.000 erano i posti disponibili per i poveri della città.
Nelle case, intanto, i parenti e gli amici si salutavano, si abbracciavano augurandosi buon Natale, sino alla soglia della sala da pranzo, poi la varcavano, brandivano coltelli e forchette, bicchieri e cucchiai e iniziavano il rito pagano della “gran pacciada” e per le nebbiose e fredde vie di Milano, si sentiva solo un tintinnio di posate, calici che brindavano, risate e felicità, in un silenzio quasi irreale e ovattato.
BUON NATALE!
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