Vecchia Milano: Piazza Vetra

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(Nella foto un dipinto anonimo che mostra la piazza e la basilica ai primi dell’Ottocento)

Piazza Vetra e il Parco delle Basiliche sono uno dei luoghi più caratteristici della città e tra i più amati dai milanesi. Polmone di verde nel cuore di Milano, è l’unico parco pubblico del centro cittadino nella zona sud, impreziosito da due gemme dell’architettura cristiana, come le basiliche di San Lorenzo e Sant’Eustorgio.

Eppure le origini di piazza Vetra sono tutt’altro che splendenti o nobili.

In epoca romana la grande spianata verde era un profondo avvallamento dove si riunivano diversi corsi d’acqua che entravano o sfioravano la città, alcuni con funzioni difensive, altri irrigue o per usi artigianali, altri a scopo di collettore fognario; tutti assieme giungevano ai piedi delle Mura Repubblicane che in quel punto correvano lungo via Disciplini e San Vito.

1 Una veduta della Vetra nei primissimi anni del Novecento. La piazza era già stata livellata e portata alla stessa quota del dosso sopra cui sorgeva la Basilica di San Lorenzo. Sulla destra si può invece vedere il tratto dove scorreva il canale della Vedra, a una quota ribassata che era quella originale del resto del quartiere.

I corsi d’acqua in questione erano il Piccolo Sevese, o Nirone e il Grande Sevese, due canali deviati dai romani già nel I secolo a.C. e usati per proteggere le mura, come fossati, rispettivamente a oriente e occidente. C’era poi l’Olona, allora noto come Vepra o Vedra e deviato anch’esso dai romani, che percorreva le attuali via San Vincenzo e Gian Giacomo Mora; un altro canale che giungeva nella spianata era quello che correva lungo l’attuale via Torino, provenendo dall’area di piazza del Duomo, forse tratto terminale dell’Acqualonga, che poi venne deviato per alimentare le Terme Erculee di San Babila.

Tutta questa abbondanza di acque che si univano in un unico canale di uscita, che venne poi chiamato Vettabbia, in caso di piena dei torrenti trasformavano la spianata in un enorme palude, un acquitrino di acqua stagnante, erodendo il terreno sempre più, col risultato che la differenza di quota con l’area all’interno delle mura si percepisce facilmente ancor oggi, a più di due millenni di distanza!

Camminando infatti in via Stampa, dove si trovava il lato interno delle mura, si nota molto bene la differenza di quota con la parallela via San Vito, il lato esterno delle mura; la differenza di quota tra via Stampa e la parte del parco alle spalle di San Lorenzo è di ben 6 metri. Tra via Stampa e via Sant’Eustorgio ben 10 metri in meno di 500 metri.

Nel cuore di questo avvallamento paludoso vi era però un dosso, forse dovuto alla presenza sottostante di un accumulo di ghiaia o pietre. Questo dosso aveva un altimetria quasi pari a quella della città all’interno delle mura, sbucando quindi dal pantano; proprio lì i romani costruirono un tempio agli dei, sopra il quale venne costruita la prima basilica protocristiana di San Lorenzo, una delle chiese più antiche di tutta la Cristianità. Tra le mura e la basilica venne anche aperto un cimitero, probabilmente risalente al II-III secolo d.C.

Foto che mostra gli edifici in mattoni, con i balconi in legno, che si affacciavano direttamente sul canale e dove si trovavano i laboratori dei conciatori di pelli.

La profonda depressione rimase in quelle condizioni per secoli e secoli, anche dopo il 1156, con lo scavo della Fossa Interna e del riutilizzo del terreno per realizzare la nuova cerchia difensiva in legno e terra, detta Terraggio e pure dopo la costruzione delle Mura Medievali in pietra, dopo il 1167; l’area di piazza Vetra si ritrovò così all’interno delle nuove mura ed è quasi sicuro che il deflusso delle acque venne regolato, tramite due nuovi canali, il Fugone del Magistrato e il Canale di Santa Croce che si univano alla Vettabbia in quella che oggi è via Calatafimi.

A partire dalla fine XII secolo, quando Milano tornò a diventare una potenza regionale e riprese il suo ruolo di capitale del commercio della Penisola Italiana, la vasta area di piazza Vetra, con la sua abbondanza di acqua e il suo essere un luogo ritenuto insalubre e poco gradito ai milanesi, divenne il luogo dove si trovavano tutte le concerie e le tintorie della città. Lungo il canale delle Vedra, che costeggiava il lato nord ed est della vasta spianata, si trovavano tutta una serie di edifici il cui piano terreno affacciava con dei grandi portici direttamente nelle putride acque del canale. Lì venivano conciate e tinte le pelli, lavoro terribile e insano, tanto che era appannaggio di immigrati dal contado, disperati e servi; la zona divenne presto nota come il Pasquee de’ Vedraschi, dove il primo nome indicava un’aia, una vasta area dove normalmente era lasciato seccare il fieno o razzolare le galline, mentre il secondi indicava gli abitanti del quartiere e/o anche il loro mestiere, dato che per conciare le pelli veniva usato anche il vetro.

Le case che si affacciavano sulla piazza era antichissime, misere, buie, piccole, coi pericolanti balconi in legno, tanto che Felice Venosta nel 1867 lo definì “un quartiere di poveraglia”. A collegare la piazza con le case vi era un gran numero di ponticelli in legno, sulle cui sponde, come su quelle della Vetra, erano stese al sole le pelli conciate.

La differenza di quota tra il centro cittadino e la piazza rimase immutata, tanto che ancora in pieno Rinascimento, per scendere da via San Vito alla spianata si dovevano percorrere ben due rampe di scale.

Nel Quattrocento, tanto per peggiorare le cose, la zona vide arrivare anche il patibolo, il luogo ove venivano effettuate le condanne a morte e celebrate le terribili torture comminate dai magistrati o dall’Inquisizione. Dato che supplizi, roghi e impiccagioni erano quasi all’ordine del giorno, i patiboli diventarono presto più di uno, tutti alle spalle di San Lorenzo, con una forca sempre pronta ad accogliere i condannati, la ruota dove legare i miserabili condannati alla tortura, i cippi dove tagliare mani, piedi, nasi e orecchie, la casa del boia, il magazzino dei suoi attrezzi e ferri, oltre alle grandi cataste di legna per bruciare le streghe.

Via dei Vetraschi negli anni Venti.

La misericordia della Chiesa Ambrosiana verso i condannati ai supplizi di piazza Vetra fu talmente grande da erigere una colonna davanti alla forca, detta colonna di Santa Croce. Nel 1728 venne demolita e sostituita da quella attuale, con la statua di San Lazzaro.

Qualche cambiamento si vide ai primi dell’Ottocento quando il patibolo fu trasferito, nel 1814, al Campo Scellerato, appena fuori da Porta Lodovica, dove oggi c’è Largo Isabella d’Aragona; nella zona sud della piazza venne invece inaugurato un grande mercato delle erbe e della frutta già a fine Settecento. Una serie di case sorse al posto delle vecchie Mura Medievali, tra cui una ghiacciaia, una fonderia con tanto di ciminiera in mattoni e un mulino che sfruttava una deviazione delle acque della Cerchia.

Nel 1856 iniziarono i lavori per la copertura del canale della Vedra, la demolizione dei numerosi ponti usati dai conciatori e la chiusura dei sedici laboratori che vi si trovavano.

Questi si trasferirono poco più a sud, oltre la Cerchia dei Navigli, lungo il canale della Vettabbia, creando un nuovo quartiere industriale.

Tra il 1862 e il 1866 vennnero costruiti due nuovi mercati in muratura e ferro battuto, progettati entrambi dal Terzaghi, uno per gli ortaggi e il pesce e uno per i latticini.

Purtroppo le vetuste e pericolanti case delle Stretta, abbandonate dai conciatori che si trasferirono poco più a sud, non vennero demolite e ricostruite, ma affittate a persone ancor più povere e misere, quasi tutti immigrati dal resto della Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia.

Il quartiere della Vetra divenne così ancor più povero e pericoloso, abitato per lo più da miserabili che sbarcavano il lunario, numerosissimi delinquenti e membri della Ligera. Le case al piano terreno erano praticamente tutte occupate da prostitute e le osterie e le bettole che vi si trovavano erano tra le peggiore e malfamate di tutta la città.

E’ in quei decenni di fine Ottocento che divennero leggendari gli assalti, compiuti per lo più da orde di giovanissimi ragazzini, o bambini del quartiere ai carri e carretti che si avventuravano nei tortuosi vicoli della Vetra.

Mentre i vetturini spronavano i cavalli, i ragazzini uscendo come saette dai portoni arraffavano la mercanzia e scomparivano nel portone dall’altro lato della strada, che veniva prontamente sbarrato, impedendo l’inseguimento del ladro. Si narrava di vere e proprie barricate che venivano montate in pochi secondi dietro uno degli angoli ciechi, bloccando i cavalli e il carro e di batterie di giovincelli che assaltavano le merci depredandole in un amen.

Una foto del 1903 che mostra il punto in cui i canali romani del Piccolo e Grande Sevese si riunivano in piazza Vetra dando origine al canale della Vedra. Le solette vennero rifatte in quell’occasione.

La notte la situazione peggiorava, nel senso che i giovanissimi andavano a dormire e facevano la comparsa i fratelli maggiori, perennemente alla ricerca di qualcuno da rapinare, possibilmente nelle laide osterie del quartiere.

Celebre era l’Osteria del Quattordes, che vantava un tavolo da biliardo in cemento dipinto di verde! Innumerevoli i forestieri di ogni età che venivano portati da una delle tante “veneri” nelle camere delle osterie dove, dopo essersi spogliati, vedevano comparire nella stanza un paio di complici armati di coltelli e mannaie. Borsellino, orologi d’oro e tabacchiere cambiavano proprietà con le buone o con le cattive.

Non di rado i cadaveri di chi si opponeva alla rapina, venivano lasciati nel prato sotto la statua di San Lazzaro, dove un tempo si trovava la forca. Condannati a morte dalla Ligera.

Già a fine Ottocento si iniziò a discutere dell’inevitabile demolizione di tutte le case dei Vedraschi e i lavori iniziarono nel 1903, con la demolizione dei due mercati e il rifacimento della copertura del canale della Vedra; fu in quegli anni che il terreno della Vetra venne livellato e alzato di un paio di metri, portandolo all’altimetria attuale.

Nel 1914 il Comune finalmente stanziò il denaro per la demolizione e ricostruzione del quartiere, ma lo scoppio della Grande Guerra, l’epidemia di Spagnola, il Biennio Rosso, l’ascesa del fascismo bloccarono ogni lavoro e la demolizione dei Vedraschi iniziò solo nel gennaio 1925.

Le case erano tutte di proprietà comunale e alle migliaia di famiglie che vivevano nel quartiere della Vetra fu offerta una nuova casa nei nuovi quartieri popolari, costruiti però nelle periferie più estreme e desolate a chilometri di distanza dalla città di allora.

Numerosissimi furono i rifiuti, sia perché nei nuovi appartamenti avrebbero dovuto pagare la pigione al Comune, cosa che quasi nessuno faceva alla Vetra, vivendo sostanzialmente come abusivi, sia perché nei minuscoli appartamenti vivevano anche in 12, 15, 20 persone di nuclei familiari allargati, tipici degli immigrati. Nei nuovi quartieri popolari, sottoposti ai regolamenti di igiene, avrebbero avuto un numero massimo di persone per stanza, dovendo così affittare più locali o addirittura due appartamenti.

Un acquarello anonimo del 1840, che mostra la grande differenza di quota tra piazza Vetra e San Lorenzo.

I metodi spicci del regime fascista agevolarono però la scelta e a furia di sgomberi e manganellate, gli abitanti della Vetra abbandonarono le buie e misere topaie del quartiere per andare a vivere nelle buie e misere topaie di via Arena, Scaldasole, della Stretta dei Nani e nelle antiche casere del Borg dei Furmagiatt, andando a ingrossare la Ligera della vicina Cittadella del Ticinese.

Gli sgomberi e i lavori di demolizione durarono anni e anni, vedendo lentamente scomparire del tutto non solo i palazzi, ma anche le vie più malfamate, la Stretta de’ Vedraschi e la vicina Contrada della Vetra; con la ricostruzione del quartiere venne riaperto il primo breve tratto della Stretta e pure la Contrada ma, come per esorcizzare l’antico luogo malfamato, vennero dedicate rispettivamente a papa Urbano III e papa Pio IV.

Nel 1934, proprio dove si trovava il cuore della Stretta, fu costruito il grande palazzo del Regio Istituto Tecnico di Santa Marta, lì trasferito da piazza Mentana e poi dedicato a Carlo Cattaneo.

Nello stesso anno fu proposto di intitolare la nuova piazza che aveva preso il posto dell’antico Pasquée dei Vedraschi ad Alessandro Italico Mussolini, nipote del duce, morto a solo vent’anni di leucemia nel 1930. Fortunatamente si preferì chiamarla piazza Vetra…

L’ultimo tratto della Stretta a venir demolito e ricostruito, intono al 1936-38, fu infine dedicato al cardinale Caprara.

(Milano Scomparsa)

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