Denunciati oltre 10 imprenditori per caporalato e 37 persone non in regola con i documenti
Il Tribunale di Milano ha commissariato l’azienda di alta moda Alviero Martini. E’ stata disposta l’amministrazione giudiziaria per l’impresa che non sarebbe stata in grado di “prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo” lungo la propria filiera di appalti.
L’inchiesta del Nucleo ispettorato lavoro dei carabinieri del capoluogo lombardo, coordinati dal pubblico ministero Paolo Storari, mostrerebbe una “connessione” fra il “mondo del lusso” e “quello di laboratori cinesi, con un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche”. In particolare, sono stati controllati otto opifici tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e irregolari sul territorio nazionale. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento con paghe sotto soglia, orari di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri, violazioni in materia di sicurezza e dormitori abusivi “in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”.
Denunciati a piede libero per caporalato oltre 10 imprenditori di aziende (amministratori di fatto o di diritto, di origine cinese) e 37 persone non in regola con documenti e permessi si soggiorno in Italia. Sono state elevate ammende per oltre 153mila euro e sanzioni amministrative per 150mila euro mentre nei confronti di sei aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero. I giudici della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, Fabio Roia, Maria Gaetana Rispoli e Giulia Cucciniello, hanno nominato commissari della società il dottor Marco Mistò e l’avvocato Ilaria Ramoni con il compito di analizzare la filiera produttiva e i rapporti con imprese produttrici e rimuovere quelle dove sono presenti fenomeni di caporalato. (LAPRESSE)
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