Il malessere dei docenti aggrediti nelle scuole.
Negli ultimi anni, o forse nell’ultimo decennio, abbiamo assistito ad una escalation di violenza negli ambiti scolastici, con una preoccupante tendenza ad estendersi dagli episodi di bullismo tra studenti, fino a coinvolgere i docenti nel ruolo di vittime. Se da una parte si è registrato un degrado educativo nella categoria studenti, con comportamenti irrispettosi, aggressivi e violenze non solo verbali nei confronti del corpo insegnante, ma anche di loro stessi compagni di classe (bullismo), dall’altra si è aggiunto un problema che aggrava tale situazione. Il riferimento è costituito dalla scarsa collaborazione di certi genitori, che oltre a non aver saputo educare i propri figli, si sono posti dalla loro parte nella barriera che separa alunni e docenti sui temi non solo didattici, ma anche comportamentali. Sono ormai molti i casi, saliti alla cronaca, di padri e/o madri di ragazzini ripresi dagli insegnanti per motivi disciplinari o di scarso profitto, che non solo non sembrano preoccuparsi della condotta scorretta dei giovani, ma anzi si presentano personalmente nelle scuole mettendo in atto delle sceneggiate come rappresaglia, aggredendo anche fisicamente il preside o il prof che ha osato rimproverare l’allievo, partendo dal presupposto che abbia torto.
A fronte di tale situazione, si materializza un peggioramento generalizzato dei rapporti tra le parti, a causa della scomparsa progressiva di un minimo rispetto delle gerarchie che dovrebbero, come in passato, rappresentare l’ago della bilancia sul funzionamento del sistema scolastico del paese, non soltanto nelle metodologie didattiche ma anche etiche, nel campo dell’educazione civica e della formazione di cittadini adulti e responsabili. L’atteggiamento sempre più anarchico delle classi fino alle superiori, spesso accentuato da posizioni ideologiche ispirate da correnti politiche di tendenza, è sintomo di una mentalità distorta ed eversiva di ragazzi che, con sempre maggior frequenza, trasformano in antagonismo a prescindere ogni appunto che viene loro mosso da chi avrebbe il compito di guidarli, educandoli alla convivenza e al rispetto delle regole sia tra i banchi che in famiglia e nella società. Il rifiuto di fermarsi e riflettere, di fronte ad un rimprovero, indica chiaramente una indisponibilità, o riluttanza al dialogo e all’autocritica nella presunzione di avere comunque ragione su un adulto, visto a quel punto come oppressore e non consigliere e guida in grado di indicare una condotta più conveniente per la convivenza e il benessere collettivo. Come porre un argine, se non un termine, a tale deriva? Difficile immaginare qualcosa diverso da una sorta di regime non solo di controllo, ma anche di azione repressiva e nel contempo esplicativa, che possa dare ai giovani una versione plausibile di quanto per loro possa apparire dittatoriale.
Difficile, si, ma ancora più difficile che una simile situazione possa risolversi ed evolvere ad un migliore forma di convivenza senza un cambio di rotta in qualche modo drastico, adottando una vecchia massima che recitava, ove necessario, bastone e carota.