Per chi avesse fretta: in America Trump sta dimostrando che vincere in politica è questione di preparazione. Attenzione: preparazione non significa (solo o necessariamente) studio. Significa proprio mettere in moto tutte le cause necessarie a godere degli effetti giusti al momento giusto. Molte volte non serve nemmeno fare nulla: Dio è un mazziere imparziale. Distribuisce buone e cattive mani secondo un Suo piano. Ineffabile. Ecco, sostanzialmente, nella partita tra The Donald e Joe Biden, la mano del prima ha solo punti alti e carte di valore. Il secondo pare avere ricevuto solo figurine dei calciatori. E tutte doppie.
Ricapitolando: Biden va al dibattito e si sveglia solo dopo quindici minuti. Un po’ come la nostra Nazionale contro la Svizzera. E con gli stessi risultati. Pazienza, dicono i suoi, tanto Trump ha così tante rogne giudiziarie che, dopotutto, la campagna la passerà in tribunale.
Ieri la Corte Suprema ha sentenziato che, come in tutti i paesi del mondo, un Capo di Stato gode di una sostanziale immunità sui propri atti ufficiali e di una assoluta immunità su quelli Costituzionali. È così anche da noi, anche perché sia lui che Mattarella hanno un altro tribunale che li giudica. Avete presente l’impeachment? Ecco, quella roba là serve a processare il Presidente. I Democratici sostenevano che DOPO quel processo i loro procuratori potevano tranquillamente riprendere da capo. Era chiaramente un’idea balzana e infatti è stata bloccata.
Questo uccide precisamente l’80% dei processi a carico di The Donald, lasciandone in vita solo due. Quello in Georgia, che è fermo a causa delle vicende di letto della Procuratrice (incredibilmente là andare a letto coi colleghi ti rende meno credibile, qui a Milano è qualcosa che non avremmo mai creduto possibile), e quello di New York. Dove la giuria si è espressa, è vero. Ma la sentenza non c’è ancora. Sarebbe dovuta arrivare l’11 luglio.
Sarebbe dovuta arrivare, appunto. Ma non arriverà quel giorno, perché gli avvocati di Trump hanno chiesto, e l’accusa non si opporrà, di spostare il verdetto. In effetti, da come il procuratore ha ricostruito la vicenda, l’ex Presidente avrebbe falsificato i registri durante la Presidenza e lo avrebbe fatto, certo per vincere le elezioni, ma anche per preservare la Presidenza da uno scandalo. Questo non è certo un dovere Costituzionale, ma è certamente un incarico ufficiale.
Quindi, The Donald, ha chiesto gli sia applicata l’immunità. La richiesta verrà respinta, probabilmente. Ma intanto la convention Repubblicana non lo vedrà con un verdetto definitivo. E poi sarà ottimo terreno per l’appello. Biden, quindi, perde interamente la carta processuale. E, certo, accusa una Corte Suprema con 6 giudici Repubblicani. Che però non sono apparsi dal nulla. Sono figli di una geniale, spregiudicata ed esteticamente brutta quanto funzionale, strategia di Mitch McConnell. E di un… come possiamo definirlo? I dem Americani lo chiamano un errore imperdonabile della buon’anima del Giudice Gintzburg, il Signore l’abbia in gloria, che si è rifiutata di dimettersi quando i democratici avevano la maggioranza. Dando a Trump la possibilità di passare da 5-4 per i repubblicani (con il giudice Roberts che spesso votava con i Dem) a un ferreo 6-3.
Per carità, anche con 5-4 la sentenza non sarebbe stata diversa. Ma così la certezza era adamantina. Biden non ne ha voluto tenere conto. E adesso Trump, privo di pesi e lacci, può lanciarsi con forza verso il futuro. Territorio accidentato e sostanzialmente alieno a Biden. Che deve giocare una mano dove l’avversario ha tutti gli assi e lui solo figurine. Doppie, peraltro. Con la speranza, viva e reale di tutti noi, che si accorga di cosa ha in mano. Cosa, dopo il dibattito, non certo scontata.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.