Visioni mediorientali

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Nel Libano meridionale si fronteggiano, contrapposte, due visioni delle cose. Da un lato le postazioni Unifil perseguono il loro compito di peacekeeping in funzione di cuscinetto tra le forze militari unofficial di Hezbollah e quelle ufficiali libanesi e l’esercito israeliano. L’Unifil è una forza militare di ca diecimila effettivi, di varia provenienza internazionale, di interposizione stanziata in Libano da tempo immemorabile, quasi 50 anni, giunta ormai al suo quarto intervento, dopo i conflitti dell’82, del 2000, del 2006, tutti finiti con l’invasione israeliana del Libano. Malgrado le buone intenzioni, l’Unifil non è mai riuscita a conseguire opera di pacificazione, sulla base della considerazione di trovarsi in completa terra sciita dove Hezbollah costituisce l’unica realtà in grado di svolgere le basilari funzioni amministrative a vantaggio della popolazione. Purtroppo l’esercito di Dio svolge anche una continuata attività di guerriglia lanciando razzi e missili nel territorio nord israeliano e compiendovi raid di terrore a danno dei residenti israeliani. Per sua stessa ammissione cosi l’Unifil è passata ad una sostanziale attività umanitaria e moderatrice, utile a limitare il livello degli scontri militari ufficiali, ma senza effetto sulle attività di guerriglia. La visione dell’Unifil, come anche dell’incaricante Onu nonché delle diplomazie dei paesi civili è che non ci sia modo di bloccare la guerriglia araba, eliminabile solo nel quadro di una pacificazione globale all’insegna dei due popoli e due stati. Come non si può impedire la pioggia, cosi non si può bloccare la rivolta armata, dalle pietre ai missili, in presenza di arabi mediorientali.

La visione di Gerusalemme è tutta un’altra. Considera le sue conquiste territoriali avvenute dopo cinque guerre vinte sul campo, un dato acquisito, esattamente come hanno fatto nella loro storia gli altri Stati. Anzi, pensa di essersi regolata in modo assai moderata ritirandosi da territori già presi. Quando i suoi abitanti vengono minacciati dall’incessante guerriglia proveniente da quelle terre, si ritiene in pieno diritto di intervenire. Si tratta del concetto espresso nella frase, Israele ha diritto di difendersi. Nell’ultimo anno, Israele, in ossequio a questo concetto, ha invaso la striscia di Gaza e ripreso il controllo della Cisgiordania, già affidale alle autonomie palestinesi governate da Hamas e Al Fatah; e nell’ultimo mese è tornata a invadere il Libano, in particolare il suo territorio meridionale scita, di fronte alla volontà conclamata di Hamas e di Hezbollah di proseguire attacchi genocidari. Come Israele non vuole accettare l’idea di costituire uno Stato palestinese all’interno dei suoi confini, come dichiarato e deliberato dall’Onu e dalle diplomazie dei paesi civili, così le fazioni palestinesi e gli Stati arabi non hanno a lungo accettato l’esistenza stessa dello Stato ebraico. Dopo una lunga serie di sconfitte la maggioranza degli Stati arabi hanno accettato la coesistenza pervenendo con gli accordi di Abramo anche ad una sorta di amicizia collaborativa. Sono rimasti irremovibili sul rifiuto dell’esistenza di Israele solo l’Iran ed i suoi alleati guerriglieri distribuiti in Libano, Iraq, Gaza e Yemen.

Date le visioni succitate, sembra all’Onu, e quindi anche all’Unifil che Gerusalemme non cerchi una pacificazione sostanziale. Neanche la costituzione delle due entità palestinesi autonome e la partecipazione araba alla vita democratica e elettiva israeliana hanno cambiato quest’opinione, poiché Gerusalemme in realtà controlla tutto nei suoi confini. A Gerusalemme invece sembra che la pacificazione dell’Onu si riduca alla protezione dei guerriglieri che attaccano le istituzioni ed i civili israeliani sia all’interno dei suoi confini che nelle aree limitrofe esterne. L’Onu ha costituito un’Agenzia di supporto ai palestinesi che funge da ombrello protettivo ad Hamas, mentre basi di Hezbollah colpiscono, dai dintorni dei siti Unifil, gli insediamenti ebraici oltre confine; la guerriglia è armata dai finanziamenti degli stati civili e delle stesse agenzie Onu, poiché il supporto umanitario è indistinguibile da quello alla guerriglia; inoltre, non si contano le dichiarazioni Onu di condanna di Gerusalemme oltre la legittimazione di uno Stato palestinese inesistente. Israele pensa che se la guerriglia è tanto forte in una situazione di sostanziale controllo ebraico e di puntuale reazione militare micidiale ad ogni atto di guerriglia, una volta costituito uno Stato palestinese, il livello di aggressione salirebbe di intensità ad un livello molto peggiore.

L’invasione del Libano degli anni ’80 risolse agli occhi ebraici il problema dell’Olp che emigrò coi suoi miliziani in Tunisia. Oggi l’invasione sistematica di Gaza dovrebbe eliminare Hamas e la nuova invasione del Libano dovrebbe distruggere Hezbollah. Le due distruzioni implicano, come riconoscono entrambe le visioni, la contemporanea ecatombe di popolazione araba. Per Israele, se quella popolazione intende immolarsi per quella guerriglia, compie un suicidio volontario. Per l’Onu e le diplomazie non si può risolvere il problema così e si è ad un passo dall’espulsione di Israele dall’Onu. Israele vorrebbe che nessuno finanziasse la guerriglia, il che significherebbe interrompere anche gli aiuti umanitari. Onu e ambasciate che Israele limitasse la sua azione militare accettando di venire attaccata continuamente. Finora gli Usa finanziando l’armamento israeliano e limitando le sanzioni ad alcuni insediamenti ebraici in Cisgiordania, hanno sposato la visione israeliana che paradossalmente incontra il favore degli stati arabi, preoccupati più della leadership persiana in campo musulmano, che delle operazioni militari di Gerusalemme. Stando così le cose, l’Occidente, salvando l’apparenza delle dichiarazioni dei due stati, dovrà trovare una soluzione che nella nuova invasione del Libano, non metta in forse l’incolumità dei militari dell’Unifil. In effetti, Borrell, già ministro  degli esteri europeo dimissionario, sostiene che la nuova presidenza libanese, sospesa da due anni, nell’attuale debolezza di Hezbollah, potrebbe liberare il paese dall’influenza iraniana (e siriana); invitare l’esercito israeliano per aiuto, permettendo il cambio di strategia dell’Unifil che passerebbe a fianco di Gerusalemme. Ovviamente l’Occidente dovrebbe convincere lo spirito terzomondista dell’assemblea Onu ad un gran cambiamento. In tutte queste ipotesi restano certe solo l’azione militare e l’invasione israeliana.

 

 

Giuseppe Mele 

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