Fin dall’antichità la cittadinanza è sempre stata considerata un enorme privilegio da parte della società. “Civis romanus sum!”, tali sono le parole pronunciate da chi era cittadino romano. Importante fu anche la Constitutio Antoniana emanata dall’imperatore Caracalla nel 212 a.C, documento in cui lo stesso estese la cittadinanza, fino ad allora propria degli abitanti dell’Italia e di tutte le singole province, a tutti gli abitanti dell’impero (tutti i cittadini possedevano diritti e doveri).
Cittadinanza, emendamento di notevole rilevanza non per tutti anche nell’antica Grecia, più conservatrice e tradizionalista dinanzi al rapporto Stato – cittadino.
Protagoniste ne sono state Atene, polis di grande importanza, ricca per la sua posizione strategica, in cui si diventava cittadino a tutti gli effetti per ius sanguinis; a riguardo si possedevano determinati obblighi ed esigenze e da questo erano esclusi schiavi, donne e stranieri. Si distinse la figura di Pericle nelle cui leggi riteneva ateniese solo colui nato da genitori ateniesi; diversamente avvenne a Sparta, città bellicosa e conservatrice, la cui cittadinanza era rivolta solo agli Spartiati.
La legge sullo ius scholae analizzata in Parlamento nel 2018 e respinta alla Camera, vede schierati partiti politici opposti con idee contrastanti in merito.
Occorre effettuare delle differenze. Riguardo ciò si evince che in Italia ad oggi, il diritto di cittadinanza si ha attraverso lo ius sanguinis, trasmessa da genitore a figlio, che avviene per discendenza, il cittadino straniero anche se nato in Italia non la acquisisce automaticamente, ovvero lo stesso può richiederla dopo 10 anni di residenza; attraverso lo ius soli, la cittadinanza si acquisisce per il fatto di essere nati nello stesso Stato, è legata al luogo di nascita; considerando lo ius scholae si opta per l’ acquisizione della cittadinanza da parte degli stranieri, che la conseguirebbero al termine di uno o più cicli di studi.
Secondo dati ISTAT, il numero dei minorenni stranieri che abitano nel nostro territorio rappresenta il 12% della popolazione, gli alunni che frequentano la scuola dell’infanzia fino al termine della secondaria di primo grado sono pari al 10% con un numero di 876.801, con lo ius scholae un numero pari a 300.000 studenti avrebbero diritto a diventare italiani.
In merito a ciò si parla di inclusione ed integrazione, caratteristiche che sovvertono il provvedimento riguardante la legge 91 del 1992, conseguenza del fatto che molti, tanti e profondi sono stati i cambiamenti sociali avvenuti in questi trent’anni ed alcune fonti paragonano l’Italia ad altri stati europei, ritenendo che lo Stivale abbia un atteggiamento chiuso e restrittivo dinanzi a questa tipologia di emendamento, vedendo dunque la scuola come mediatore, collante e fonte di inclusione: stati come Polonia richiedono tre anni di residenza, in Belgio i genitori devono essere residenti da almeno 10 anni, in Germania da 8 anni
A sfavore di questa decisione, eticamente, ci sarebbero fattori vincolanti, come concedere il diritto di essere cittadino a chiunque, e sarebbe un paradosso frequentare un solo ciclo scolastico senza verificare conoscenze e competenze acquisite relative all’utilizzo della lingua italiana, alla storia d’Italia e nozioni didattiche di varie discipline; inoltre è da considerare l’aspetto proprio di ciascun individuo, derivante dal fatto che il minore non avrebbe scelta, ci sarebbe poco coinvolgimento a riguardo nei confronti dello stesso, il quale può rinunciarvi solo compiuta la maggiore età.
Ai posteri l’ardua sentenza!
Linda Tarantino
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