“Il tagliatore di zucche”

Cultura e spettacolo

In esclusiva l’inizio del racconto di Caterina Majocchi

In occasione di questi giorni di festa, in cui la tradizione del ricordo di Tutti Santi e della Commemorazione dei Defunti si intreccia con Halloween, presento la parte iniziale del mio ultimo racconto, ancora in fieri, “Il tagliatore di zucche”: una storia fantastica, di avventure e sentimenti, adatta a persone di ogni età, bambini, ragazzi e adulti.

Invito i lettori a proporre, nei commenti, idee per lo sviluppo della storia. Sarà mia premura farvi sapere se coincidono con ciò che ho immaginato io.

“Il signor Orlando scrutava attentamente le tonalità cariche del giallo-arancione e del verde attraverso le lenti leggere dei suoi occhiali. Il suo sguardo azzurro chiaro vagliava con cura forme e colori; si accertava che fossero più schiacciate al centro e prendessero un volume generoso verso le estremità, che tra i piccoli ornamentali bitorzoli fossero chiaramente visibili le linee scolpite degli spicchi e che il colore fosse quello caldo e carico di sfumature delle foglie d’autunno. Da ultimo, le tastava per saggiarne la sodezza e, solo dopo aver udito in modo chiaro e distinto che, picchiettando la dura scorza con le nocche delle dita emanavano un rassicurante suono sordo, si risolveva a scegliere le sue zucche.

Mentre le portava a casa, ripercorreva con la mente tutte le operazioni che avrebbe compiuto in seguito come un sacro rituale. Le avrebbe lucidate sotto l’acqua corrente con uno spazzolino per poi asciugarle con uno straccio fresco di bucato e si sarebbe infine predisposto con trepidazione all’atto più delicato e misterioso: il taglio. Solo e soltanto in questo momento avrebbe potuto percepire la croccantezza della polpa sotto il filo del coltello, ammirarne l’arancione intenso riflettersi sulla lama e lasciarsi inebriare dalla dolcezza dell’aroma profumato che si diffondeva per tutta la cucina.

Come spesso avviene per i tagliatori più fini ed esperti, come quelli che praticano l’arte del sashimi, anche il signor Orlando si dedicava con la massima diligenza e perizia alla sua attività, che trovava la sua conclusione in una miriade di cubetti geometricamente perfetti. A questo punto la sua soddisfazione di architetto-artigiano era all’apice.

Non sarebbe stato lui a godere direttamente del suo impareggiabile lavoro: la splendida polpa delle sue zucche era destinata a una persona che gli era immensamente cara e, sotto certi aspetti, anche molto simile. Si chiamava Costanza e ne era la figlia, una ragazza brillante, dagli occhi verdi, vivi e intelligenti, e un sorriso metafisico…”

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