Il lettore più attento potrà pensare che io mi riferisca allo sfregio riportato dal murale Sergio Vive. Il lettore più attento, questa volta, avrebbe però torto. Non parlo di “fasci appesi”, frase vergognosa immediatamente cancellata dai giovani di Fratelli d’Italia. No, vorrei attirare la vostra attenzione su due frasi di Repubblica, edizione online milanese:
“È stato imbrattato il murales dedicato a Sergio Ramelli, il giovane neofascista (grassetto nostro NdR) ucciso nel 1975, a 19 anni […]
Ramelli morirà in un letto d’ospedale, dopo 47 giorni di agonia: da allora è uno dei simboli della destra neofascista (grassetto nostro NdR) in Italia.”
Queste, chiaramente, sono parole di odio. Colpevolizzare, perché qui “neofascista” è chiaramente una colpa, le vittime è un atto spregevole. Repubblica ce lo ricorda ogni due minuti, di media. Evidentemente non si tratta di una regola universale. Un comico americano sostiene che se la sinistra non avesse una doppia morale non ne avrebbe alcuna. Io non voglio essere così estremo. Però una domanda, da giornalista la vorrei fare: quanto è rilevante che Ramelli fosse neofascista? E, già che ci siamo, lui si è mai dichiarato tale? O piuttosto stiamo dicendo che lo era in quanto militante del MSI?
Certo, il MSI era la casa del neofascismo italiano. Indubbio. Ma non era solo quello. C’erano monarchici, conservatori e migliaia di cittadini a cui del fascismo già all’epoca non importava nulla. Ma che volevano una società dove il governo facesse rispettare i diritti della maggioranza silenziosa. Io su Ramelli ho letto qualcosa, e più di qualcosa. Io so che aveva scritto un tema sulle Brigate Rosse, sostenendo esistessero e fossero di sinistra. So che gli è costata la vita. So che qualcuno di fronte a quella morte ha applaudito. Non ricordo proclami di adesione al neofascismo. Magari sbaglio. Di certo non è una caratteristica così predominante da arrivare a caratterizzare una vittima. Salvo il fatto che qualcuno non intenda dire che se l’è cercata. Ma non lo voglio neppure pensare.
Il secondo periodo è sostanzialmente corretto. Ma largamente lacunoso. Sergio Ramelli, con il suo coraggio, è un mio punto di riferimento. Da sempre. Insieme a Mazzola e Giralucci, prime vittime delle BR, uccisi a Padova un anno prima. Io non sono neofascista. Io e qualche altro milione di italiani che guardiamo con ammirazione all’esempio di queste persone che potevano tacere, non schierarsi, piegarsi alla paura delle BR e seguire la corrente. Ma in nome del dovere, e il primo dovere è quello della verità, non accettarono di vivere in ginocchio. E morirono in piedi. Sì, io prego di avere lo stesso coraggio di fronte alle avversità della vita. Quindi sì, è il riferimento dei neofascisti. Ma non solo il loro. E non mi pare una differenza da poco.
Come vogliamo definire questo linguaggio? Io avrei quattro lettere che mi ballano sulle dita. Ma mi tratterrò. Usiamone cinque. È un linguaggio rosso. E qui mi fermo. Anzi no, se lo facessi sarei disonesto. Voglio elogiare pubblicamente il Sindaco Sala che ha rilasciato una bella dichiarazione che riporto:
“È un fatto molto grave, oggettivamente come ogni ferita alla memoria milanese, e anche Ramelli fa parte della memoria milanese. Io da quando sono sindaco non ho mai perso una commemorazione di questi povero ragazzo, per cui la cosa è assolutamente da condannare”.
A Sala va riconosciuto, in questa sede, di aver fatto ben più del minimo indispensabile e di aver lavorato alacremente per la pacificazione. Già che ci siamo, vorrei contribuire nel mio piccolo anche io, che non sono nessuno: si ricordi la fascia tricolore quest’anno signor Sindaco. So che la dimentica senza alcun retropensiero. Spero di esserle stato utile!
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,