Durante gli anni del terrorismo italiano e tedesco uno dei leitmotiv più ricorrenti era il ritorno delle condizioni della caduta della Repubblica di Weimar. In quella rappresentazione allora soprattutto giornalistica, Weimar rappresentava tout court la democrazia mentre violenza e spallate terroristiche rappresentavano gli istinti autoritari e autocratici preparatori di svolte di dittatura prossima ventura. La Conferenza attuale sulla sicurezza di Monaco è stata rappresentata mediaticamente come la riedizione di Monaco ’38, della vigliacca condiscendenza occidentale dell’appeasement davanti all’abbandono della Cecoslovacchia, primo climax delle conseguenze della caduta di Weimar.
Nella nuova Monaco del venerdì, non è chiaro se gli americani, il vicepresidente Vance e Kellogg, inviato Usa per l’Ucraina, vestano la parte di Chamberlain o dei nazisti. Entrambi chiudono alla possibilità della partecipazione europea nelle trattative di pace russoucraine (Qui ci sono due contendenti, la Russia e l’Ucraina e un solo mediatore, gli Stati Uniti. Non c’è spazio per altri).
La parte della vittima sacrificale, del presidente ceco Hacha del ‘38, tocca all’ucraino Zelensky che chiede a gran voce la presenza dell’Ue ed il miraggio di forze armate europee (Non ci può essere un negoziato senza l’Ucraina e senza l’Europa). Vance offre solo il contratto di acquisto di terre rare da $500 miliardi che Zelensky non firma. L’ucraino comincia ad arretrare, dall’integrità totale della patria passa alla concessione dei confini del 2014, così i russi terrebbero Crimea e parte del Donbass ritirandosi da quanto occupato dopo il 2022. Poi vaneggia di una Nato in Ucraina (l’Ucraina non rinuncia alla Nato). È Kiev a spronare per le forze armate europee. La Nato ci vuole anche senza gli Usa ma in una Nato solo europea, l’esercito di Kiev è il più preparato per la guerra. Le 15 nuove divisioni russe di 150 mila soldati sono da sole superiori a quella della maggior parte degli eserciti nazionali europei.
In tempi strettissimi che denunciano i preparativi precedenti, i top russi e americani (il segretario di Stato Rubio ed il ministro degli Esteri Lavrov), ospiti in pompa magna dei sauditi, il martedì 18 febbraio preparano il summit Trump-Putin al Palazzo Diriyah di Riad dove con gran pacche sulle spalle dichiarano di voler discutere una pace duratura, sostenibile e accettabile per tutte le parti a chiusura della guerra in corso in Ucraina da tre anni. L’ Europa fuori dalla porta reagisce stizzita e scomposta. Tradita come il Sordi del film Tutti a casa dopo l’8 settembre, quando i tedeschi si sono alleati con gli americani. Senza alcun diritto, procedura ed autorità, il presidente francese Macron cerca di anticipare tutti lunedì 17 febbraio chiamando a raccolta a Parigi un mix raccogliticcio di Europa, nazioni ed organizzazioni militari. Ci sono la von der Leyene Costa per Commissione e Consiglio europei, Rutteper la Nato, i premier Ue (Germania, Italia, Polonia, Paesi Bassi e Spagna) e dell’U.K.
I punti fermi sono i 15 pacchetti di sanzioni antirusse e la spesa militare a favore dell’Ucraina in corso. Poi cominciano le domande. Come possono non restare esclusi dalle trattative? Quali garanzie di sicurezza possono offrire all’Ucraina e soprattutto quando possono offrirle, a pace firmata o prima? Gli europei hanno nelle orecchie la richiesta fatta a Monaco dall’alta rappresentante per gli esteri Ue, lady Pesc Kallas, di truppe peacekeeping in Ucraina. Hanno davanti un questionario inviato da Trump sul possibile schieramento di truppe europee in una zona cuscinetto a garanzia dell’eventuale accordo di pace. Sanno che gli Usa non invieranno truppe peacekeeping limitandosi ai contractor già presenti e che preferirebbero soldati brasiliani e cinesi invece che europei. Sanno che la Russia è contraria ai peacekeepers maxime se di paesi filoucraini e membri Nato.
Il dibattito inglese è il più sofferto. Il premier Starmer sarebbe pronto a inviare truppe sul campo contro la Russia anche subito (Daily Telegraph) ma solo assieme agli Usa, ipotesi esclusa dagli americani. I guru inglesi frenano; per i militari non abbiamo l’attrezzatura per una grande forza per un lungo periodo di tempo, per l’intelligence lo scontro diretto anglorusso è un grande rischio. Francia e Baltici che ipotizzavano l’invio di truppe sul campo tacciono. Per il cancelliere tedesco Scholz l’invio di truppe non è destinato a teatri di guerra per cui è prematuro discuterne. Si passa all’ipotesi peacekeeping dopo la firma del trattato di pace. La vuole la ministra degli esteri svedese Stenergard. Il presidente finlandese Stubb propone l’adesione automatica ucraina alla Nato in caso di violazione russa del cessate il fuoco. Il primo ministro polacco Tusk si sfila; non abbiamo in programma di inviare soldati polacchi nel territorio ucraino. Non c’è accordo sull’invio di truppe subito e neanche dopo la pace. Nessuno propone l’adesione dell’Ucraina alla Ue contro la quale ora la Russia non si oppone come prima. Senza alcuna posizione comune sfuma ogni possibile partecipazione alla pace. A contentino da Riad Rubio promette che sul tema sanzioni l’Unione europea potrà rientrare ai colloqui. Nelle trattative russo americane solo le attese di Mosca sono chiare. Il territorio finora conquistato, la fine delle sanzioni, il divieto di entrata nella Nato di Kiev, l’esclusione della minaccia dei missili Atacms. Facoltative le dimissioni di Zelensky con il quale Putin è pronto» a negoziare se necessario. Gli americani invece vogliono soltanto separare russi e cinesi.
Venerdì, lunedì, martedì. Alle leadership europee non resta che lo sport preferito, il giudizio gossip tombale. È tornata Monaco’38; siamo circondati da nazisti i quali peraltro premono anche nelle imminenti elezioni tedesche. Mentre Trump dà del dittatore al presidente ucraino, gli europei sono rimasti fermi alla condanna di Putin, definito assassino da Biden e ricercato dalla Corte Penale Internazionale. Non si ricordano quando basavano tutta la loro industria sull’energia russa e Gazprom era il primo sponsor della Champions. Si sono immersi nella triennale propaganda americana e non sanno come uscirne. Soprattutto non sanno come adeguarsi alla nuova, mica possono cambiare i leader secondo i tempi di Washington, come vorrebbe Vance. Intanto si allarga il divario tra leader e popoli europei. L’immigrazione è ormai tema scandaloso. I popoli europei non vogliono più il refrain del diritto d’asilo. Vogliono l’energia più a buon mercato da dovunque venga e la più economica qualunque sia; vogliono la propria agricoltura mentre l’Europa si apre a quella sudamericana. Qui il divario è enorme, ma c’è dell’altro. I leader parlano di ulteriori allargamenti. Invece agli europei occidentali sembra sempre più pesante la presenza dei membri orientali della Ue, immaginarsi i futuri balcanici. I popoli occidentali europei non vogliono rischiare conflitti e rifiutano politiche costose di difesa. I leader europei un po’ se ne accorgono un po’ no mentre non fanno coincidere atti e dichiarazioni. I leader più destri raccolgono i voti determinati da queste pulsioni senza poi alzare troppo la voce. Risuona il frastuono del gossip nella mancanza di sopportazione popolare sempre crescente.
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Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.