Forse non c’è nessun politico in Italia che si professi contrario alle semplificazioni e tutti o quasi concordano sulla necessità di norme più snelle a vantaggio delle imprese, soprattutto piccole e medie. Eppure, pochi paesi hanno regole più assurde e meno favorevoli all’attività imprenditoriale del nostro. Ultimo esempio in ordine di tempo: il reato di gelato.
A Milano (la capitale economica del Paese), una gelateria è stata costretta alla chiusura per tre giorni, per aver contravvenuto all’ordinanza che vieta la vendita di cibo e bevande da asporto dopo le 22. In particolare, l’esercente si sarebbe reso colpevole dei seguenti misfatti: la “presenza di 30 clienti intenti a mangiare il gelato” e “l’uso del plateatico dopo la mezzanotte”. Tali orrendi crimini si sarebbero consumati mesi fa, uno a giugno, l’altro a novembre; ma l’esecuzione della condanna è scattata soltanto il 12 marzo, peraltro senza preavviso, costringendo quindi l’uomo a sbarazzarsi del gelato già prodotto, con un danno economico e alla faccia dello “spreco alimentare”. L’operazione di polizia si è svolta sulla base dell’articolo 100 del Testo unico di pubblica sicurezza, una norma del 1926 che consente la sospensione della licenza di un esercizio “nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”.
Milano ama rappresentare sé stessa come la città più dinamica e attrattiva d’Italia, e in buona parte questo è vero. Ma come si può pensare di guidare lo sviluppo di un paese, se poi si impongono ordinanze il cui senso sfugge alla ragione e, per di più, se ne pretende una attuazione draconiana? E non è solo Milano: tempo fa discutevamo di una analoga norma a Roma. Nel 2014 avevamo pubblicato un’antologia delle ordinanze più assurde in vigore nei comuni italiani.
Questi vincoli possono suscitare un sorriso, o al più un moto di solidarietà per chi ne subisce le conseguenze. Ma sarebbe sbagliato fermarsi ai sorrisi: se guardiamo il complesso dei divieti che ostacolano, con le ragioni più nobili o più stravaganti, l’attività di impresa, l’immagine che ne viene fuori non è più quella di un comprensibile sforzo di bilanciare i diversi interessi. Si ha piuttosto la sensazione di un labirinto kafkiano. Non è così difficile capire perché negli ultimi vent’anni l’Italia sia cresciuta poco o nulla e per i prossimi venti non è lecito aspettarsi niente di diverso.
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