“Qui si vive in trincea. Non crescono neppure i fiori.” Reportage sulle case occupate a Milano

Milano

Milano 4 Ottobre – Riportiamo il significativo ed esauriente reportage di Andrea Galli, Nadia Galliano e Gianni Santucci che hanno ascoltato le voci degli abitanti delle case popolari dove il fenomeno delle occupazioni abusive è più evidente. L’articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera.

Terra secca. Col vento si alza la polvere. C’erano piante ed era verde, quarant’anni fa. Cortile delle case di via Recoaro, al Lorenteggio. Oggi: settanta abusivi su 135 appartamenti. Giorgia, 77 anni, c’era ed è rimasta. Dice: «Qui non nasce più neppure un fiore. Ormai anche la natura ci odia». Di certo gli uomini (inteso: le istituzioni) se ne sono andati. E hanno abbandonato le 70 mila case popolari, e gli oltre 100 mila milanesi che le abitano. Tutti insieme fanno una città di medie proporzioni. Una città che sta andando in malora. Queste sono le voci della Milano lasciata affondare, raccolte dal «Corriere» in due mesi nei quartieri. Non c’è un solo euro, delle centinaia di milioni spesi per Expo, che arriverà fin qui, al Giambellino, a San Siro, a Calvairate-Molise, a Baggio, a Quarto Oggiaro. Dove la vita continuerà. Identica, coraggiosa, rassegnata. Continuerà così come raccontano questi milanesi. C’è un’unica avvertenza: i nomi spesso non sono quelli reali. Per denunciare senza rischiare vendette, bisogna coprirsi. Anche se a volte non basta. Ti vengono a prendere lo stesso.

Una bottiglia di vedetta

Giancarlo ha 58 anni e abita in via degli Apuli, al Giambellino: «Nella mia scala ci sono dodici appartamenti. Fino a poco tempo fa 7 case erano vuote, non affittate. Ne è rimasta solo una, le altre sono state occupate». Lui è ben contento che lo siano: «Almeno c’è un po’ di sicurezza. Si dorme meglio». E si evitano certe complicazioni: «Il signore che vive qui accanto tiene spesso le persiane abbassate. Lavora di notte, di giorno riposa. Ha rischiato. Le vedette del racket hanno pensato che la casa fosse disabitata. E nel dubbio l’hanno marcata. Come? Lasciando una bottiglia di vetro sul davanzale della finestra, è così che funziona».

Il nemico alla porta

Tre bambini, trent’anni. Alessia viene da Marrakech. Sta in via Segneri, al Lorenteggio. A distanza ravvicinata col nemico: il tentativo di sfondamento l’ha visto dallo spioncino. «Una sera incomincio a sentire rumori provenire dalle scale, accosto l’occhio e vedo questo signore con in mano una spranga di ferro. Tenta di entrare nella casa di fronte. L’uomo che abita lì apre la porta, per evitare che gliela distruggano. Grida: “La casa non è vuota”. Loro fuggono». Anche Alessia è un’ abusiva: è arrivata in Italia per il ricongiungimento con il papà dei bambini. Ha divorziato. I figli sono nati a Milano. Qualche mese fa ha pagato degli arabi per entrare. «Ho speso 400 euro, metà in anticipo». Dentro non c’era nulla. «Dormivamo sul pavimento. Non avevamo neanche la tazza in bagno. I primi tempi mi vergognavo ad uscire. Ma non ho avuto scelta».

Il sopravvissuto

Lido ha 90 anni, una casa al secondo piano e un problema alle gambe che si è aggravato da un anno e mezzo: non riesce più a muoversi. Ma è forte, Lido. Forte e orgoglioso. Vuole combattere, vuole resistere. Nel 1943 fu portato in un campo di concentramento. Dal 2010 chiede di poter avere una nuova abitazione al piano terra. Per smetterla d’essere un prigioniero nel suo salotto. «Oramai anche gli esami del sangue vengono a farmeli a casa». La casa giusta per lui, là sotto, è stata vuota per 6 anni. Ora l’hanno occupata.

Una casa in collina

Rosaria, 55 anni, guarda Milano dal terzo piano in via Mar Jonio, a San Siro: «In casa io tengo le colline…». Il pavimento è sollevato, di oltre dieci centimetri. «Gli occupanti al piano di sotto hanno costruito un soppalco. E questo è il risultato». Rosaria ha imparato a convivere con le alture. Franco, 56 anni, vive in via Segneri. Un territorio con elevata presenza di rom. In zona hanno occupato «a pioggia». Una casa dopo l’altra. Franco ha una piccola ditta, con 4-5 camion. Gli spaccavano i tappi per rubare il gasolio: «Sono 200 euro a riparazione. Ho anche fatto una modifica meccanica: ho provato a spostare le batterie nel cassone posteriore. È stata un’altra spesa. Rubavano anche quelle». Aveva un vecchio camion da rottamare. Gli è venuta un’idea. «Ho preso uno degli zingari che contano. Gli ho detto: “Te lo regalo, prenditi il camion. Basta che mi lasciate in pace”». A luglio gli han rubato un furgone.

Caccia al tossico

Giorgia, 42 anni, zona piazzale Selinunte, due disabili in famiglia, una casa in una palazzina con quattro appartamenti dove si spaccia. Cortile di tossici, inseguimenti, pestaggi. «Una sera iniziano a dar botte sulla porta, stavamo mangiando, sembrava che volessero sfondarmela. Apro, terrorizzata. Tre arabi urlano: “Dove sta il negro?”. Non so chi cercassero, forse erano robacce di droga. Quella sera hanno “perquisito” anche altre case del palazzo. Ma che vita è questa?». Giardino in via degli Etruschi, quartiere Calvairate-Molise. Una statua della Madonna. Gli italiani la venerano; gli stranieri la sporcano. Antonio, 43 anni, lo testimonia: «Ci fanno sopra i loro bisogni, per offenderci». Qui vanno di moda, gli escrementi. «Certi abusivi ti lasciano la m… sullo zerbino. Altri abusivi la buttano giù dal balcone, così non ti avvicini, giri al largo e ti passa la voglia di chiamare le forze dell’ordine».

Parabola e mangiate

Angelina ha 64 anni. Vedova, un figlio lontano. Non rimane che lei, nel bilocale in via Pascarella, a Quarto Oggiaro. I caseggiati hanno al piano terra ampi spazi nati per essere circoli, laboratori, punti di condivisione. Sono divenuti affari privati. «I prepotenti del palazzo ci hanno creato officine per lavorare i motorini rubati. Qualcuno ci ha fatto proprio delle abitazioni, con allacciamenti abusivi, l’abbonamento a Sky e tavoli per le mangiate».

Meglio morire bruciati

Incendi a cantine. Incendi a solai. Incendi sui ballatoi. Incendi a scooter. Michele ha 34 anni e quando non lavora fa l’avvistatore di roghi. Tutti dolosi. Abita in via Tommei (Calvairate-Molise) ma il suo racconto trova analogie a Baggio, San Siro e Gallaratese. «Magari c’è stato un litigio sull’occupazione di un abusivo che s’è messo in un cantina e allora gliela bruciano. Oppure c’è un clan che non riesce a controllare i solai di un palazzo e li incendia. Così non ce l’hanno nemmeno i nemici. E se muore qualcuno? Pazienza». Nella Milano delle case popolari non nasce più nemmeno un fiore e c’è una distesa di cenere.

Milano Post

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