Stipendi d’oro e benefit a gò gò: la vita è bella quando si è giudici costituzionali

Attualità

Milano 13 Ottobre – Secondo la ricerca del Censis “Diventare genitori oggi”, presentata alla Biblioteca del Senato settimana scorsa, il 60 per cento degli italiani è contrario alla fecondazione assistita eterologa. Invece secondo il presidente-per-soli-tre-mesi-poi-andrà-in-pensione della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro è proprio grazie alla sentenza della Consulta che ha spazzato via questo contenuto qualificante della legge 40 sulla procreazione artificiale che in Italia «il tasso di civiltà giuridica è cresciuto». Tanto peggio per la maggioranza degli italiani in carne e ossa, che i giudici della Corte hanno spintonato fuori dalla legalità costituzionale del loro paese, neanche fossero una manica di nostalgici del fascismo o di brigatisti rossi.

«Mi ricorda il modo di ragionare dei comunisti al tempo della rivoluzione», commenta Alfredo Mantovano, magistrato della Corte d’Appello di Roma e in passato parlamentare due volte sottosegretario agli Interni. «Ai quei tempi si diceva: la classe operaia è il soggetto rivoluzionario, ma non ne ha coscienza, la coscienza gliela deve dare il partito, anzi, l’avanguardia del partito. Tesauro ragiona nello stesso modo: il popolo ha dei diritti dei quali però non ha preso coscienza, tanto è vero che quando viene sottoposta a referendum la legge 40 che conculca quei diritti, il popolo dice che gli va bene, e fa fallire il referendum che la voleva modificare. Per fortuna però c’è la Corte Costituzionale, che s’incarica di coscientizzare il popolo circa i suoi diritti, sostituendosi alla scelta del parlamento e a quella del popolo attraverso il referendum».

Ma non di questo scollamento avanguardistico rispetto al popolo italiano si preoccupa il presidente Tesauro, bensì della cattiva immagine della Corte che gli italiani potrebbero farsi a causa del fatto che il parlamento sta impiegando troppo tempo per scegliere due nuovi giudici la cui nomina ad esso spetta: «Lo spettacolo che stanno dando in parlamento si riverbera in modo molto negativo sull’immagine della Corte, come se fosse diventata terreno per scorribande politiche», ha detto al Corriere della Sera.

La sentenza di due anni fa con cui la Corte dichiarò incostituzionali i provvedimenti del governo che avrebbero ridotto gli stipendi dei suoi giudici, la prassi di nominare presidente il giudice più vicino all’età pensionabile, col bel risultato di produrre una schiera di ex presidenti che si godono pensioni d’oro guadagnate con pochi mesi di carica presidenziale, la creatività giuridica con cui la Corte non si è limitata a cassare, tardivamente, il Porcellum ma ha prodotto con la sua sentenza un diverso sistema elettorale, proporzionale anziché maggioritario, senza avere i titoli per farlo: no, tutte queste cose non hanno danneggiato l’immagine della Corte Costituzionale agli occhi degli italiani. Trattasi solo di «retorica anti-istituzionale», «cattiva e ingiusta considerazione», scuote le spalle Tesauro.

Il confronto vergognoso
Cominciamo dalla questione delle presidenze “facili”. «È una cosa indecente che continuino a eleggere a quel posto il giudice più prossimo alla pensione, sono dieci anni almeno che la stampa ha portato a conoscenza di tutti il problema, ricordo un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere un decennio fa, e non è cambiato nulla», commenta Massimo Bordin, già direttore di Radio Radicale, che ha risollevato la questione sulle pagine del Foglio qualche settimana fa. «Dal punto di vista legale non si può fare nessun ricorso. Tranne il ricorso all’opinione pubblica. Non dico che si debba fare come negli Stati Uniti, dove il presidente della Corte Suprema resta in carica a vita, ma un’elezione vera, e con meccanismi trasparenti di verifica delle competenze dei candidati, sarebbe bello poterla avere».

Già, gli Stati Uniti. Se prendiamo come riferimento la data di Tangentopoli, il 17 febbraio 1992, scopriamo che da allora ad oggi la Corte Costituzionale italiana ha avuto 21 presidenti, la Corte Suprema americana solo 2. Entrata in funzione l’1 gennaio 1956, la Corte italiana ha avuto 17 presidenti nei primi 36 anni della sua esistenza, cioè quasi uno ogni due anni fino al 1992; dopo quella data ne ha avuti 21 in 22 anni, cioè quasi uno all’anno!

La Costituzione, che gli ermellini di Palazzo della Consulta dovrebbero tutelare, all’articolo 135 recita: «La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile». Dunque si auspicavano presidenze almeno triennali. Invece… La giustificazione ufficiosa dell’alto turn-over è che si vuole evitare di creare conflittualità all’interno della Corte con vere competizioni, che darebbero vita a campagne elettorali fra i giudici e alla fine produrrebbero vincitori e vinti.

«Questa giustificazione è discutibile. Eleggere presidenti che restano in carica per breve tempo in realtà è dannoso per il funzionamento della Corte: qualunque istituzione, per funzionare, ha bisogno di continuità», commenta Mauro Ronco, ordinario di Diritto penale all’Università di Padova. «La scelta del presidente di un organo così importante dovrebbe essere legata interamente al merito e alla capacità organizzativa del soggetto. Non dovrebbe dare adito a sospetti di spirito di approfittamento, che è ahimè diffuso nella Pubblica Amministrazione italiana».
«Quella di volere tenere basso il tasso di conflittualità fra i giudici è una spiegazione che non convince», chiosa Alfredo Mantovano. «Tesauro è stato eletto con un solo voto di scarto, le divisioni ci sono state».
«Io credo che più che al trattamento pensionistico da ex presidente, che è alto ma non tanto più alto di quello di un normale ex giudice costituzionale, siano molto ambìti i benefit di cui il presidente in pensione continua a godere», afferma Bordin.

Decisioni contro la politica
Già, i benefit. I giudici costituzionali italiani sono fra i più costosi al mondo, e fra i più “beneficiati”. Roberto Perotti, economista della Bocconi già consulente di Fmi, Bce, Banca Mondiale e Banca d’Italia, li ha crocefissi in un famoso intervento dove dimostrava che ciascuno di loro costava alle casse pubbliche più del doppio di un giudice britannico, e il triplo di uno statunitense. Nell’aprile scorso è entrata in vigore un’autolimitazione degli stipendi, e adesso un giudice costituzionale italiano mediamente prende uno stipendio che è 1,6 volte quello del suo omologo britannico, e quasi 2,3 volte quello di un giudice americano. Il presidente della Corte costituzionale italiana prende 432 mila euro lordi, contro i 173 mila di quello della Corte Suprema degli Stati Uniti; un ermellino italiano riceve 360 mila euro lordi annui, contro i 235 mila del collega britannico.

La vera bazza, però, sono i benefit. Si legge in un servizio sull’Espresso uscito la settimana scorsa: «Tutti i giudici dispongono, in base a un regolamento interno, di un’auto blu con due chauffeur “personali”. Solo per noleggiare le vetture e pagare assicurazione, telepass, viacard, parcheggi e manutenzione l’anno scorso sono stati spesi quasi 50 mila euro al mese. Più altri 10 mila (sempre al mese) di benzina. Una spending review, per quanto mini, è infatti arrivata anche a Corte: prima i giudici avevano diritto all’auto blu (e agli autisti) per tutta la vita. Dal 2011, invece, gli ex ne hanno diritto solo per il primo anno dopo aver finito il mandato. Il cellulare invece è rimasto, così come il rimborso dell’utenza domestica. Se il privilegio sembra eccessivo, però, si può rinunciare a farsi pagare anche le bollette del telefono di casa. Oltre alla gratuità dei viaggi in treno e i rimborsi per trasferte, voli e taxi (costati altri 10 mila euro al mese lo scorso anno), c’è la ciliegina sulla torta: gli appartamenti di servizio, pensati anche per le toghe che vivono nella capitale: bilocali e trilocali con servizi e cucinino, ubicati al quinto piano del palazzo della Consulta o nell’attigua via della Cordonata. Una sistemazione casa e bottega per alleviare le giornate lavorative durante la pausa pomeridiana (dalle 13 alle 16)».

C’è poi chi non si scandalizza per le retribuzioni, ma per le sentenze che la Corte emette. E non si tratta solo di cattolici indispettiti dalla disinvoltura con cui è stato dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa. Fabrizio Rondolino, giornalista che dà il meglio di sé su Europa e sul giornale on-line www.thefrontpage.it, non si dà pace per la vicenda del Porcellum, la legge elettorale maggioritaria a liste bloccate che la Corte ha dichiarato incostituzionale otto anni dopo che era entrata in vigore. «Già il percorso attraverso cui si è arrivati alla sentenza del dicembre 2013 è molto discutibile, perché alla Corte possono fare ricorso solo organi istituzionali come un Tar o un Consiglio regionale, mentre all’abrogazione del Porcellum si è arrivati a partire dal ricorso di un privato cittadino, che la Cassazione ha voluto trasmettere alla Corte costituzionale», commenta Rondolino. «Ma poi è chiaro a chi vuole capire che i giudici hanno pronunciato una sentenza non contro una legge, ma contro la politica: c’è una parte della magistratura che vuole decidere al posto della politica. E la Corte Costituzionale si è inserita in questo trend che dura ormai da vent’anni. La sua decisione è arrivata dopo che due parlamenti erano stati eletti con quella legge: è una cosa che urla contro il buonsenso. Quando poi guardiamo gli effetti della sentenza, siamo al colpo di Stato. Perché la Corte Costituzionale non può, con una sentenza, modificare radicalmente il sistema elettorale vigente, e invece è quello che è stato fatto. L’Italia ha scelto a suo tempo il sistema maggioritario, e la Corte ha imposto il ritorno al proporzionale. Non ha annullato tutto il Porcellum, cosa che avrebbe resuscitato il Mattarellum, che è maggioritario. Ha prodotto un sistema diverso cancellando parti del vecchio. Questo è un colpo di Stato, un sovvertimento delle regole democratiche realizzato in punta di diritto, seguendo tutte le norme. La Corte Costituzionale dovrebbe difendere la virtù della politica, tutelata dalla nostra costituzione, invece contribuisce a tirare palate di fango sul sistema politico. Questa è eversione».

Da arbitri di confine a invasori
Con parole meno estreme, e riferendosi ai contenuti dell’intervista del Corriere a Tesauro piuttosto che alla sentenza sul Porcellum, anche il giurista Ronco si dice convinto che la Corte si lasci attirare dalle sirene dell’antipolitica e dalla voglia di invasione di campo: «Per decenni la Corte Costituzionale ha rispettato la discrezionalità del legislatore, ma negli ultimi anni ha cominciato a trascendere i suoi compiti. Il suo compito era di interpretare la Costituzione, non di creare una nuova Carta costituzionale. È una tendenza inaugurata dalle Corti europee, che tendono a travalicare poteri legittimi e costituiti come quelli dei parlamenti e delle costituzioni nazionali. L’intervista di Tesauro conferma l’impressione che per l’attuale Consulta il parlamento è un contropotere con cui si polemizza. Il parlamento non viene visto come espressione dei cittadini, ma è espressione di politici i quali sarebbero tendenzialmente soggetti devianti. Questo non è certamente un buon viatico per la collaborazione fra le istituzioni. Anzi, l’intervista conferma l’impressione di una conflittualità fra la Corte e gli altri poteri dello Stato, soprattutto quello parlamentare».

«Sentenze come quella sull’eterologa si inseriscono nel solco di un cambiamento di funzioni delle Corti costituzionali che è avvenuto non solo in Italia», commenta Mantovano. «È un fenomeno in corso da decenni e che si è accentuato ultimamente, che vede le Corti sostituire le proprie funzioni e le proprie decisioni a quelle di altre istituzioni, a cominciare dal parlamento. La funzione delle Corti Costituzionali sarebbe di fare in modo che il parlamento e il governo non superino i confini assegnati dalle leggi fondamentali. Però da arbitri dei confini le Corti si sono trasformate in trasgressori dei confini. Non solo la Corte italiana: la Corte Suprema in America da tempo si comporta allo stesso modo». Cent’anni fa Lenin gridò: «Tutto il potere ai Soviet!». Oggi anziani uomini con la toga nera scandiscono: «Tutto il potere alle Corti!».

Rodolfo Casadei (Tempi)

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