Milano 24 Luglio – Dopo un anno di governo Renzi, l’Italia sta peggio di prima. È la conferma che, senza riforme radicali che spazzino via l’eccesso di fiscalità e di legislazione di anni di governi orientati a sinistra, il Paese, nella migliore delle ipotesi, vivacchia nella stagnazione o, nella peggiore, regredisce.
Il presidente del Consiglio aveva avuto il merito di individuarne l’urgenza e aveva annunciato che avrebbe cambiato il volto del Paese con le riforme. Ma poi non ha fatto nulla.
L’Italia di Renzi è quella di sempre perché il governo si comporta come quelli che lo hanno preceduto e ne hanno provocato la crisi dalla quale non accenna neppure ad uscire. Invece di ridurre la pressione fiscale, diventata ormai intollerabile, aumenta le tasse per coprire i costi delle soluzioni di volta in volta individuate. Nuove tasse e maggiore produzione legislativa – con la pretesa di regolamentare tutto, la stessa dei governi che lo hanno preceduto – accrescono gli ostacoli che la società civile deve superare per produrre ricchezza, sviluppo e crescita. Ricordo la conferenza stampa che una delegazione giapponese aveva tenuto a Mosca dopo una serie di colloqui con le autorità sovietiche. «Quando noi abbiamo un problema – avevano detto i giapponesi – cerchiamo di risolverlo; i sovietici convocano una conferenza nella quale elencano le cose che dovrebbero fare, ma poi non le fanno, e tutto si esaurisce lì». In Italia accade la stessa cosa da anni e si ripete con Renzi.
Gli annunci del presidente del Consiglio assomigliano alle volonterose enunciazioni di un convegno di studio. Elencano le cose che si dovrebbero fare, come non dipendesse dal governo farle, ma poi non le si fa perché, evidentemente, c’è qualcuno, o qualcosa, che vi si oppone, o la politica preferisce non farle per non inimicarsi chi non le vuole. Chi sia poi chi non le vuole, è presto detto: è l’apparato burocratico dalla cui soluzione dipenderebbero, ma che non ha né la voglia, né alcun interesse a farle, dipendente come è dalle corporazioni civili.
Renzi aveva mostrato di aver capito quali erano i problemi, aveva annunciato le riforme che li avrebbero risolti, ma poi non le ha fatte. Hanno vinto ancora una volta le corporazioni e la burocrazia che sulla stagnazione ci campano e che impediscono ogni pur piccolo cambiamento; figuriamoci riforme che dovrebbero cambiare la fisionomia del Paese!
Il capo del governo sta facendo la fine che già aveva fatto Berlusconi, cui assomiglia come una goccia d’acqua. Ha il pregio – come l’aveva avuto il Cavaliere – di capire quali sono i problemi – che sono sempre gli stessi – e le soluzioni per risolverli, anch’esse sempre le stesse. Sono le riforme che modernizzino l’Italia e la differenzino dai Paesi di socialismo reale che le dure repliche della storia hanno condannato al fallimento. Vengono sistematicamente a galla i vizi d’origine del nostro sistema politico codificati nella Costituzione del 1948, un compromesso fra la cultura liberale, della quale si avvertiva l’esigenza dopo anni di dirigismo fascista, e la cultura collettivista di marca sovietica, cui si guardava con un eccesso di ideologico ottimismo. Le conseguenze dell’ibrido compromesso le paghiamo ogni giorno. Le paga il mondo imprenditoriale, impedito di fare il proprio mestiere da un eccesso di divieti, di licenze e di permessi. Il mondo della politica, sotto l’influsso delle corporazioni e della burocrazia, non ha ancora capito che la licenza è il mezzo col quale ogni potere dispotico esercita il proprio dispotismo sulla società civile. Se per aprire una tabaccheria, o una qualsiasi altra intrapresa, occorre una licenza pubblica, è inevitabile che il Paese o si fermi o produca forme estreme di corruzione per aggirarla. Ma, ad ogni denuncia della corruzione, spunta sempre qualcuno che suggerisce un modo tutto burocratico per combatterla – un nuovo organismo, una legge speciale – così la corruzione, invece di diminuire, aumenta!
Forse, bisognerebbe dare una scossa a Renzi – magari alle prossime elezioni, cui mostra di contare molto – che lo induca a darsi una regolata. Non solo ad annunciare un luminoso avvenire che poi non arriva mai, ma per cercare di consentire alle risorse private di realizzarlo davvero, per quanto possibile, in questa Italia di socialismo reale…
Piero Ostellino (Il Giornale)
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