Sono 176 i senatori alleati contro il governo, Renzi senza numeri

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Milano 9 Agosto – Mezzo milione di emendamenti per la riforma del Senato in Commissione Affari Costituzionali. Ma per affossare il provvedimento ne bastano soltanto tre.

Sono firmati dai dissidenti Pd e puntano a modificare l’articolo 2 del testo approvato dalla Camera nel marzo scorso, ripristinando il principio di un Senato eletto direttamente dai cittadini. I primi firmatari sono rispettivamente Miguel Gotor, Vannino Chiti e Claudio Micheloni.

Matteo Renzi non si scompone e sfida i senatori ribelli, 28 in tutto, a venire vedere «chi ha i numeri in Senato» e Chiti raccoglie subito il guanto. A Palazzo Madama, avverte Chiti: «ci sono le condizioni per un’intesa ampia per un Senato eletto direttamente dai cittadini». E la conta sotterranea ieri gli dava ragione: ci sarebbe una maggioranza assoluta pronta a votare contro la linea di Renzi.

Insomma è altamente probabile che il ddl del ministro Maria Elena Boschi diventi il fulcro per una resa dei conti all’interno del Pd in quella che si presenta come una sorta di Sfida all’ OK Corral tra il premier che sa di doversi giocare il tutto per tutto e degli «ex amici» che si sono sentiti già traditi troppe volte.

Lo scontro si consumerà a riapertura delle Camere ma intanto Chiti chiarisce che la minoranza non intende mollare anche perché sembrerebbe proprio che ad essere isolato questa volta sia il Pd renziano mentre il fronte a favore del Senato elettivo è molto ampio e trasversale. La buona notizia (per Gotor e compagni, cattiva per Renzi) arriva con l’annuncio del socialista Enrico Buemi che con il Gruppo Autonomie conferma che «il pasticciaccio del ddl Boschi» va modificato e si deve comunque parlare di «Senato elettivo». Il testo approvato in marzo prevede di passare da 315 a 100 senatori cosi composti: 74 consiglieri regionali e 21 sindaci scelti dai consigli regionali. Altri 5 invece nominati direttamente dal Capo dello Stato.

Ma per l’elezione diretta ci sono di certo i 28 della minoranza Pd ; 12 del gruppo delle Autonomie; i 36 di M5S; 45 di FI, 12 della Lega. E per gli esperti di numeri, con Conservatori di Fitto, Gal e verdiniani e i 25 del Misto, si sale a 176 voti a favore della modifica. «Come si vede sul pieno superamento del bicameralismo paritario che non mortifichi però la sovranità dei cittadini e il ruolo di garanzia e rappresentanza dei territori del futuro Senato i vari gruppi parlamentari concordano – dice Chiti – Non è una questione riconducibile a una lotta interna al Pd. La strada da praticare è quella del dialogo e non quella di arroganti chiusure». Ma quanto i renziani siano disponibili al dialogo è evidente dalle parole del senatore, Andrea Marcucci, che paragona la minoranza Pd allo scorpione che, attraversando il fiume sulla rana, pur finendo per affogare non può fare a meno di ucciderla. Ma anche Gotor insiste sulla necessità che sia Renzi a compiere «un atto di realismo e lungimiranza» .

Arcinemico del ddl Boschi è pure il vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli. A lui infatti si deve l’oltre mezzo milione di emendamenti.

«Un riforma costituzionale che priva il popolo del diritto del voto e instaura una dittatura di sinistra mi fa venire la dissenteria e quindi va fermata o modificata e per farlo ho depositato 510.293 proposte di modifica – precisa Calderoli-E ho preparato per l’esame dell’Aula 6,5 milioni di emendamenti per affossare la riforma e mandare a casa Capitan Fracassa Renzi».

La modifica per l’elezione diretta trova sostegno anche in Forza Italia. «Il senaticchio che piace alla maggioranza Pd è una camera priva di funzioni istituzionali reali, inutile – dice il senatore Maurizio Gasparri – Meglio allora abolirlo del tutto. Ma se invece, come è giusto, deve avere il suo rilievo, la prima modifica al testo è l’elezione diretta dei suoi componenti».

Francesca Angeli (Il Giornale)

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