Milano 14 Agosto – Ricordiamo uno dei più grandi fotografi italiani conosciuti in tutto il mondo, Gabriele Basilico, nato il 12 agosto 1944 a Milano. I suoi scatti in bianco e nero hanno saputo raccontare i cambiamenti e le evoluzioni delle città, da Milano a Istanbul .
I PROGETTI PRINCIPALI – Tra il 1978 e il 1980 realizza il suo primo progetto, Milano, ritratti di fabbriche. Nel 1983 viene invitato, unico italiano, a partecipare al progetto francese della DATAR. Negli anni ’90 riprende la ricerca sul territorio e sulle trasformazioni del paesaggio urbano. Nel 1996 vince il premio Ostella d’Oro per la fotografia di architettura. Nel 2000 riceve il premio dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. Le sue opere fanno parte di molte collezioni pubbliche e private. Tra le sue numerose mostre ricordiamo la retrospettiva che la MEP (Maison Européenne de la Photographie) di Parigi gli ha dedicato nel 2006. Nel 2008 realizza un progetto fotografico su Roma e uno su Mosca, aprendosi via via alle capitali internazionali: Istanbul, Shanghai, Rio de Janeiro. Basilico muore a Milano il 13 febbraio 2013 ma prima di lasciarci, racconta a Mario Calabresi il suo amore per i porti: “Ho un amore per i porti. Sono i luoghi in cui la natura e l’architettura si integrano e si contrastano: ci sono le mie strutture industriali, non su uno sfondo piatto, ma sul mare e sul cielo. Questa è la perfezione”. Questa e altre interviste sono contenute nell’ultimo libro di Mario Calabresi, “A occhi aperti“(Contrasto, 2014).
L’AMORE PER LE CITTA’ – Non solo la sua formazione di architetto ma anche la sua stessa indole riflessiva lo portano molto presto verso ciò che sarebbe diventato l’oggetto assoluto del suoi impegno: la forma e l’identità della città, l’insieme complesso delle architetture, dei manufatti creati dalla storia e dalla cultura degli uomini. E dalla città, poi, tutti i mutamenti in corso nel paesaggio contemporaneo nel passaggio dall’era dell’industria alla fase postindustriale, e poi, ancora, l’urbanizzazione tutta del paesaggio, la metropoli, la megalopoli. In questo studio del legame tra luogo e identità, avrà per compagni di strada i grandi maestri della fotografia italiana di paesaggio, insieme a lui gli innovatori della fotografia italiana , coloro i quali l’hanno resa arte e impresa di impegno civile a un tempo, su tutti Luigi Ghirri e Mimmo Jodice. La prima grande ricerca di Basilico è la notissima serie Milano. Si tratta di ritratti di fabbriche, dal 1978 al 1980, nella quale il fotografo individua e cataloga la fabbrica come possibile emblema dell’identità della città, proprio nel delicato momento in cui l’era dell’industria si stava spegnendo.
LO STILE – Gli ambiti di ricerca privilegiati da Gabriele Basilico sono stati le trasformazioni del paesaggio contemporaneo, la forma e l’identità delle città e delle metropoli, da Bari a Barcellona, da Genova a Istanbul, da Napoli a Mosca; ma anche Milano e le sue periferie, Roma, Palermo, San Francisco, Shangai. Le sue fotografie fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private sia italiane che internazionali, indagando di volta in volta le trasformazioni dei territori urbanizzati nel passaggio dall’era industriale a quella postindustriale e il tema della città come complesso e raffinato prodotto dell’economia e della storia. Guidato da una passione sincera per le architetture (Basilico si laureò infatti in Architettura al Politecnico di Milano prima di diventare fotografo professionista), ha scelto il rigore dello stile documentario per raccontare il costante processo di ibridazione che modella le città, in un lavoro di indagine del rapporto tra l’uomo e lo spazio urbano durato quasi quarant’anni. Egli ha adottato invece quel modo analitico che segna la grande fotografia documentaria del Novecento, e che troviamo in Eugène Atget, Charles Marville, nella Neue Sachlichkeit, in Albert Renger Patzsch, in August Sander; un modo sul quale hanno avuto influenza la fissità delle città disabitate di Giorgio De Chirico e l’attenzione alle volumetrie urbane delle periferie dipinte da Mario Sironi, oppure il disegno dello spazio prospettico di Canaletto o Bellotto, tutti pittori che Basilico amava. (Libreriamo)
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