Milano 18 Agosto – “La crescita dell’eurozona delude, ma non date la colpa alla Grecia. Il vero problema sono Italia e Francia”. Inizia così una dura analisi del New York Times, che prende spunto dagli ultimi dati sul Pil dell’eurozona. Il rallentamento del secondo trimestre, che ha indebolito una ripresa già modesta, secondo il quotidiano americano riporta in primo piano i problemi delle economie più grandi.
La crisi greca, al confronto, è stata un dannoso diversivo, una distrazione dai mali più profondi. Neppure la Germania viene risparmiata. Secondo il New York Times “la più grossa economia europea è troppo dipendente dalle esportazioni e ben presto potrebbe risentire del calo della domanda dalla Cina, un cliente importante per i macchinari utensili e le auto made in Germany”. L’analisi del New York Times converge con quella dell’Amministrazione Obama.
Fin dall’inizio del suo primo mandato presidenziale, Obama ebbe due messaggi per Angela Merkel: primo, dalla crisi non si esce dissanguando l’economia con l’austerity; secondo, un paese che accumula attivi commerciali con il resto del mondo contribuisce agli squilibri tanto quanto i paesi indebitati. In altre parole, la virtuosa Germania è una delle cause del disastro europeo: sia per l’austerity che impone, sia per gli immensi attivi commerciali “mercantilisti” che continua a perseguire.
I messaggi di Obama non hanno avuto particolare fortuna a Berlino. Ma ora l’analisi del New York Times traccia un bilancio di sei anni perduti sul Vecchio Continente. E sottolinea che anche la presunta “uscita dalla crisi greca” è solo un’apparenza. Se il Pil di Atene è aumentato più del doppio della media europea nel secondo trimestre, lo si deve a una sorta di “effetto panico”: molti consumatori greci hanno comprato beni durevoli per timore che i loro risparmi potessero volatilizzarsi in un crac bancario.
Poi c’è stata la stagione turistica che ha attirato valuta straniera. E comunque l’economia greca è minuscola, la sua crisi ha monopolizzato troppo a lungo l’attenzione dei governi, nascondendo problemi ben più gravi.
Nel decretare il fallimento dell’austerity l’analisi del New York Times evoca un aspetto caro ad uno dei suoi più autorevoli commentatori, il premio Nobel dell’economia Paul Krugman: è il caso della Finlandia. “Un solo paese ha avuto una caduta del Pil nel secondo trimestre, è la Finlandia”. Il caso finlandese è un cavallo di battaglia di Krugman perché sfata il mito secondo cui gli anelli deboli dell’eurozona sono solo paesi mediterranei afflitti da vizi “meridionali” quali lo statalismo e l’evasione fiscale.
La Finlandia è un’allieva modello della Germania, eppure anche nel suo caso l’austerity non ha sortito gli effetti desiderati. “I maggiori problemi per l’eurozona non sono più in paesi periferici come Grecia, Irlanda o Portogallo, bensì nel nucleo duro delle maggiori economie”, prosegue questa analisi. Che punta l’indice sulla Francia: inchiodata alla crescita zero, in particolare a causa della debolezza dei consumi, e questo nonostante il calo del prezzo del petrolio che negli Stati Uniti ha avuto un effetto tonificante sulle spese delle famiglie.
La crescita dell’Italia viene definita anch’essa “deludente”. Fa meglio la Spagna, e tuttavia il New York Times ricorda che Madrid continua ad avere il 22% di disoccupazione, inferiore solo a quella della Grecia. “Il grande interrogativo”, scrive il chief economist della Commerzbank in una lettera ai clienti, “è quando il rallentamento cinese comincerà a colpire l’economia tedesca”. Il benchmark, o metro di paragone, è la performance degli Usa.
Diventati ormai l’unica locomotiva mondiale, dopo la frenata della Cina. Che la ripresa americana sia ben lungi dall’avere riassorbito tutti i danni della crisi del 2008, lo dicono quotidianamente i candidati alla nomination per la Casa Bianca. Da Hillary Clinton a Bernie Sanders tra i democratici, da Donald Trump a Marco Rubio tra i repubblicani, ciascuno fa a gara nell’elencare le magagne della ripresa.
Ma con il 5,3% di disoccupazione, l’America resta un modello di dinamismo invidiabile se visto dall’altra parte dell’Atlantico. Analisi del New York Times che coincide con quella di Obama: crisi greca solo un diversivo.
Fonte Dagospia Federico Rampini (Repubblica)
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