Milano 24 Agosto – Oggi riaprono le Borse e davanti a sé hanno due strade, rimbalzare recuperando almeno in pare la perdita di 2200 miliardi accumulate la settimana scorsa, o continuare nel bagno di realtà. Venerdì, per esempio, l’indice della fiducia delle Piccole e Medie Imprese è sceso abbondantemente sotto quota 50 in Cina. Quota 50 significa recessione. Recessione per il manifatturiero Cinese. Espansione per tutti gli altri maggiori manifatturieri da Tokio a Berlino, passando per Washinghton. Non è un caso. E’ un trend. Lo Yuan cede ancora sul dollaro. Non si è fermato quando la Banca del Popolo Cinese ha detto basta. E questo era piuttosto ovvio. Aperte le porte i buoi non è che aspettino inviti formali per fuggire. Si tenga anche conto che i dati che arrivano da Pechino non sono mai del tutto immuni dal sospetto che siano manipolati. Magari inconsciamente, l’indice che riportavo sopra si ottiene mediante interviste, per dirne una. Quindi non è peregrino pensare che la situazione sia più grave di quanto previsto. Il tutto si innesta nel quadro della crisi finanziaria di Shangai che vi abbiamo più volte raccontato. Anche quella sintomo di un malessere economico più profondo. Che potremmo chiamare “il punto più profondo del guado”.
La Cina, prima che crollasse tutto, era sul punto di debuttare nella società economica che conta. Un debutto che avrebbe dovuto necessariamente coincidere con una maggiore libertà economica. Il traguardo era entrare nel paniere delle valute di riserva del Fmi, un riconoscimento di attendibilità e stabilità dello Yuan. Traguardo mai raggiunto. Il motivo è una parte delle cause di questa crisi: il Dragone continua a volare solo dietro preciso ordine del Bureau politico di Pechino. Questo è deleterio per una moneta, perché sa esattamente che varrà esattamente quanto al tiranno di turno va bene che valga. E lo stesso vale per la protezione della proprietà intellettuale, degli investimenti e della libertà personale. Ci si chiedeva fino a che punto la libertà economica potesse essere distinta dalla libertà personale. In quale punto del guado le acque fossero abbastanza basse per poter stare confortevolmente concedendo ampia, ma non assoluta, libertà di impresa e pochissima libertà all’individuo. Pare che abbiamo scoperto quale sia quel punto, pare che anzi la Cina ci sia caduta dentro.
In altre parole, al contrario di quanto paiono credere i grandi economisti del nostro tempo, questa non è né una crisi finanziaria né produttiva. O meglio, lo è in entrambi i campi come derivato di una crisi valoriale profonda della dirigenza politica Cinese. Che, per riflesso ancestrale, alle prime avvisaglie ha ribadito il primato della politica. Ma che, ora dopo ora, si sta rendendo conto di non poter più governare dinamiche così profonde e potenti che la travolgeranno. I Cinesi sono cambiati. Il sassolino che ha provocato la valanga è il sempre maggior subappalto delle imprese Cinesi. Non è ironico? Quello che aveva fatto arricchire un intero Paese è stato, quando ha cambiato segno e verso, il segnale di crisi più potente. Quello che ha scatenato le forze latenti e che ha ferito più profondamente il Grande Dragone. Non so cosa succederà domattina. So che però tra un anno faticheremo a riconoscere il volto della Cina.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,