Italia: per guarire meno imposte e meno spese

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Milano 25 Agosto – Anche se moltissimi italiani saranno ancora in vacanza, di fatto la politica riapre i battenti in questa settimana. Da oggi, infatti, politici abbronzati cominceranno a confrontarsi con i «tecnici», pallidi perché in agosto di vacanze ne hanno fatte poche. Hanno infatti lavorato intensamente per mettere a punto quella che normalmente viene detta «la manovra»: un complesso di variazioni di norme e di operazioni contabili che stabiliscono minuziosamente quanto l’amministrazione pubblica è autorizzata a spendere per le varie voci di spesa e quanto si prevede che incassi con le varie voci di entrata. La «manovra» deve essere approvata dal Parlamento entro la fine dell’anno; in caso contrario, si rischiano la paralisi della spesa pubblica e una serie di sanzioni europee.

La manovra 2015 costituisce un banco di prova, probabilmente decisivo: per l’Italia nei confronti dell’Unione Europea e per il governo nei confronti degli italiani. Nei confronti dell’Unione Europea, l’Italia deve dimostrare di essere credibile, ossia di far scendere, secondo gli impegni presi, l’incidenza del deficit pubblico sul prodotto interno lordo, confermando la credibilità internazionale faticosamente riconquistata dal governo Monti e quasi altrettanto faticosamente mantenuta in seguito.

Agli italiani il governo deve dimostrare di saper fare quanto chiede l’Unione Europea senza aumentare le imposte, ma anzi complessivamente riducendo il carico fiscale e comprimendo la spesa pubblica. La compressione della spesa deve inoltre avvenire senza riduzione della qualità e della quantità dei servizi ai cittadini.

I due obiettivi si incrociano in quanto, se il governo darà prova di credibilità (non ricorrerà, a esempio, ai «giochini contabili» del passato che consentivano di spostare formalmente una spesa da un anno all’altro, salvando gli obiettivi presenti solo al prezzo di appesantire il carico fiscale del futuro) è più che probabile che Bruxelles dia prova di elasticità, concedendo qualche «smarginatura», a conferma che «le riforme» stanno funzionando.

Con queste premesse, a partire da oggi, la palla passa alla politica e in particolare alle aule parlamentari – a cominciare dalle commissioni competenti sui singoli argomenti – dove i progetti governativi verranno analizzati, dibattuti, modificati.

Ai tempi della Prima Repubblica, il programma governativo veniva ritualmente fatto a pezzi nelle Commissioni, dove passavano emendamenti incredibili. Cominciava poi una sottile opera di ricucitura, rattoppo e rammendo che di fatto escludeva, sostituiva, ammorbidiva i tagli, contemperava gli interessi delle Regioni e quelli delle professioni, delle imprese e del mondo del lavoro. Tale procedura, che potrebbe essere definita «gattopardesca» (di fatto si cambiava perché tutto rimanesse sostanzialmente invariato) era sostenibile perché l’economia, robusta e dinamica, metteva a disposizione risorse aggiuntive che permettevano di accomodare tutto e perché il debito pubblico non era ancora arrivato agli attuali ai livelli di guardia.

Oggi non è più così. Un’economia convalescente ha bisogno di una manovra adatta alla sua convalescenza. Il che significa, in estrema sintesi, meno imposte e meno spese pubbliche, a parità di prestazioni pubbliche. Lo spazio per il tradizionale scambio politico sulle piccole misure, nascoste come emendamenti dentro alle misure più grandi è molto limitato. La coerenza interna dei provvedimenti non può essere disinvoltamente stravolta.

Qualsiasi sistema amministrativo dovrebbe essere in grado di tagliare le proprie spese senza troppi problemi nella misura del 3-5 per cento. Certo, la cosa diventa difficile se dietro ogni piccola voce di spesa si cela in realtà un privilegio, una posizione di potere, o magari, come si è visto in recenti casi romani, un interesse mafioso. Un ulteriore vincolo può derivare da pronunciamenti della Corte Costituzionale, molto attiva da qualche tempo su questioni economiche, che può sconvolgere la logicità delle costruzioni economiche. Fortunatamente, c’è un rimedio nella stessa Costituzione, rappresentato dal principio del pareggio del bilancio.

A partire da questa settimana si vedrà se l’Italia sarà in grado di proseguire sulla strada della convalescenza oppure se sarà ricacciata verso un’area di instabilità dalla quale è uscita con tanta fatica.

Mario Deaglio (La Stampa)

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