Milano 29 Agosto – A volte ritornano, e si moltiplicano. Parliamo dei muri. Chissà perché quando nel mondo ce n’era uno solo, quello di Berlino che tagliava in due la capitale tedesca e spaccava a metà la terra, democrazia da una parte e comunismo dall’altra, Usa contro URSS, si parlava di guerra fredda e di mondo in blocchi. Oggi che nel mondo di muri, già realizzati o in fase di costruzione, c’è ne sono 65 si parla invece di mondo globalizzato. Il fatto è che dal 1989, anno in cui si è sfarinato il muro di Berlino assieme al comunismo reale, il mondo è mutato alla velocità della luce ed oggi, con l’immigrazione dai paesi in guerra, dall’Africa e dai luoghi più poveri del mondo verso l’Occidente, si può parlare di una nuova guerra fredda, quella contro le paure, dei migranti e di chi se li vede sbarcare ogni giorno senza, spesso, saper come governare ciò che accade. Certo, per chi mastica un po’ di storia, è facile notare che nel passato i muri hanno sempre svolto una funzione politica e di contenimento, dal Vallo di Adriano costruito dai romani in Inghilterra sino alla grande muraglia cinese. Il punto, però, è che la storia spiega soprattutto il passato e non il presente e la sue tragiche contraddizioni: la globalizzazione che avrebbe dovuto abbattere le barriere ha alla fine aumentato i timori e le nostre insicurezze. Perlomeno per quel che riguarda l’immigrazione. Oggi, nel 2015, secondo uno studio di Elisabeth Vallet, docente ed esperta di geopolitica all’Università del Quebec, in Canada, ci sono 65 muri completati o in fase di completamento nel mondo e la maggior parte di questi sorgono sui confini per far fronte alle ondate di migrazioni od ai rischi di sicurezza.
Nel 1989, oltre a quello di Berlino, c’è n’erano sparsi una quindicina. Risultato, si sono quadruplicati in poco più di un quarto di secolo. Oggi dalla barriera israeliana di separazione dai palestinesi al recinto di centinaia e centinaia di miglia, di filo spinato, che l’India sta costruendo intorno al Bangladesh, dalla «berma» di sabbia che separa il Marocco dalla zona di deserto in mano ai ribelli del Sahara occidentale alla recinzione che il Premier Orban ha fatto erigere, nel cuore della vecchia Europa, ai confini tra Serbia e Ungheria dove sale di giorno in giorno l’afflusso di profughi e migranti dalla Siria e dai paesi in guerra, siamo circondati dai muri.
Negli Stati Uniti il sempre più popolare candidato alla presidenza dei repubblicani, Donald Trump, ha fatto dei piani per un muro lungo il confine con il Messico – un modo di tenere fuori – dice lui – quelli che chiama «criminali, spacciatori, stupratori». Altri tre paesi – Kenya, Arabia Saudita e Turchia – stanno erigendo recinzioni di confine nel tentativo di tenere fuori i gruppi jihadisti della porta accanto, in Somalia, Iraq e Siria. Sette miglia di barriera sono già state erette lungo il confine alla città di Reyhanli, nella provincia di Hatay – uno snodo per il contrabbando e l’attraversamento delle frontiere da parte della Siria.
Le recinzioni in Turchia, poi, si estendono per 28 miglia lungo un tratto fondamentale della sua frontiera, sempre con la Siria un muro turco che diventa insignificante rispetto al recinto a più livelli che sarà costruito per un tratto di 600 miglia, dalla Giordania e dal Kuwait, lungo il confine saudita con l’Iraq – una linea di difesa contro Isis. Perché nelle paure che oggi ci attanagliano, legate all’immigrazione, c’è pure quella del rischio delle infiltrazioni terroristiche da parte dei fondamentalisti assassini dell’Isis. Gli esperti, in gran parte, dicono che i muri poi alla fine non serviranno più di tanto. E di certo l’Italia, circondata dal mare, non li può costruire pur essendo un confine di frontiera verso la Libia da cui partono ogni giorno barconi di migranti. Ha detto Mikhail Gorbaciov (l’uomo che voleva rinnovare l’Urss ed ha finito col liquidarla) a proposito del muro di Berlino: «Chi arriva troppo tardi è punito dalla vita». Speriamo non accada.
Massimiliano Lenzi (Il Tempo)
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