Ora è  troppo tardi per avere paura

Attualità Società

Milano 31 Agosto – Solo ora fanno i conti con la propria coscienza riflessa su uno tsunami immigratorio spaventoso, ingestibile, travolgente. Finalmente vedono, sentono e parlano le scimmiette d’Europa sin qui cieche, sorde e mute rispetto a un problema che doveva riguardare solo quegli sfigati di italiani. S’è svegliata la Germania, prima ancora la Gran Bretagna e la Francia per le cariche sulla Manica, poi il resto del Vecchio Continente. Perfino Obama ha preso la parola. L’onda lunga della paura cresce oltre la routine dei migranti sepolti in mare così ben descritta dal nostro Luca Rocca dopo aver incrociato dati ufficiali e numeri nascosti. Aumenta d’intensità coi milioni di profughi che premono sui Balcani, via Grecia e Turchia. Amplifica il panico perché infetta terre sin qui immuni a transumanze. È la tangibilità di un cancro in metastasi. Non risparmia nessuno: si presenta senza bussare, calpesta confini e muri spinati, non chiede per favore, pretende, perché disperazione e fame non si saziano con le chiacchiere di Bruxelles. Ora che i flussi da Siria e Africa nera portano in dote milioni di disgraziati. Ora che l’opinione pubblica rabbrividisce per i 70 cadaveri nel tir in Austria (continuandosene a fregare dei cadaveri galleggianti che non fanno più notizia), anziché pensare a come arginare la diaspora, che si fa?

Ci si arrende all’evidenza, si spalancano le frontiere, si preferiscono gli spiantati d’importazione agli indigenti nostrani nell’elargizione dei pochi spiccioli rimasti in cassa. Un premier, e un governo, con più attributi avrebbero dovuto alzare la voce e battere i pugni ai primi segnali di pericolo. Mettersi di traverso al disinteresse smaccato della Ue. Puntare i piedi per ridisegnare il trattato di Dublino che obbliga gli Stati ad accogliere i profughi richiedenti asilo. E invece siamo stati zitti e buonisti. L’Europa avrà pure le sue colpe, ma quante ne abbiamo noi che davanti alla cancelliera di ferro e ai signori della Troika insistiamo a genufletterci baciando loro l’anello? Diceva a ragione il conte di Cavour: il primo bene di un popolo è la sua dignità.

Gian Marco Chiocci (Il Tempo)

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