Milano 8 Settembre – Quando i risultati degli esami di fine anno sono stati pubblicati, Mariam Malak si è precipitata. Da quel voto dipendeva il suo futuro: l’ammissione alla facoltà di medicina. L’occhialuta diciassettenne del sud dell’Egitto era abbastanza tranquilla: aveva preso sempre ottimi voti, 96 e 98 su 100 nel primo e nel secondo anno delle superiori.
Arrivata davanti al tabellone, ha cercato il suo nome in alto, tra i risultati migliori. Niente. Ha continuato a scorrere la lista con lo sguardo e col cuore sempre più pesante. Quando lo ha trovato, è svenuta. Zero su cento: e non in un esame, ma in tutti e sette. Il risultato che ottiene chi presenta i fogli in bianco.
La «studentessa zero», come l’hanno soprannominata in Egitto, è apparsa da allora pallida e in lacrime in numerosi talk show e sulle prime pagine dei giornali. Lei e la sua famiglia non hanno dubbi: è un’ingiustizia, un caso di corruzione. «Qualcuno nella scuola o nella commissione d’esame deve aver scambiato i suoi fogli con quelli di un’altra studentessa», ha detto il fratello Mina.
Il ministero dell’Istruzione ha insistito che, in base a un esame della calligrafia, quei fogli sono i suoi. Ma la ragazza e la sua famiglia non hanno ceduto: Mariam ha fatto un test in diretta tv che mostra che la sua calligrafia sarebbe diversa da quella delle prove d’esame incriminate, e si è fatta interrogare su una serie di discipline per dimostrare di essere una secchiona.
Molti egiziani credono a lei. In Rete Mariam è diventata un simbolo: una specie di Malala al contrario, la prova che non basta mandare le ragazze a scuola se poi il sistema non funziona. Migliaia di tweet sono stati pubblicati con l’hashtag «Io credo a Mariam Malak», è nata una pagina Facebook («Le lacrime di Mariam») che ha superato i 30 mila «like», è partita una raccolta di donazioni sul sito Indiegogo. Mariam è cristiana e all’inizio era stata la comunità copta a farne un’icona; ma la sua storia è riuscita in modo inusuale a unire gli egiziani e, forse proprio per evitare di alimentare le divisioni, la famiglia della ragazza ha evitato di incontrare il Papa copto. Intanto personaggi famosi, tra cui l’attore Mohammad Sobhy, sono intervenuti in tv offrendo di pagarle gli studi, eventualmente anche all’estero. E quando il ministro dell’Istruzione Moheb al-Rafie ha minacciato di denunciare la ragazza per calunnia, la Rete è insorta. È apparsa online una lettera di dimissioni per lui: ora lo chiamano «il ministro zero».
Molti si identificano con Mariam perché le storie di corruzione e di mazzette non sono affatto aliene al sistema educativo egiziano. Un giornalista, Ahmed Abu ElKhair, ha rivelato in questi giorni che l’anno scorso al figlio di un ufficiale della sicurezza è stato permesso di ripetere l’esame arrivando primo in classifica con un «aiutino», un servizio disponibile al costo di 10 mila sterline egiziane (1.400 euro) e che, quando tre funzionari del ministero dell’Istruzione hanno denunciato le frodi commesse dai colleghi, sono stati puniti (uno di loro lo ha confermato in tv).
Gli esami della Thanaweya Amma (la scuola secondaria) sono fondamentali per accedere ai posti limitati decisi ogni anno dal Consiglio superiore delle Università in base alla disponibilità delle strutture e indipendentemente dal numero dei diplomati. I genitori spendono piccole fortune per preparare i figli con le lezioni private (spesso assumendo gli stessi insegnanti sottopagati nelle scuole pubbliche sovraffollate). Molti studenti sono disposti a tutto pur di copiare. Il ministero dell’Istruzione stampa i quesiti d’esame in luoghi segreti e li consegna con elicotteri militari alle commissioni. Di recente ha iniziato a perquisire i ragazzi con sonde elettroniche per scovare i cellulari. Eppure, ogni anno, invariabilmente, i quesiti arrivano in Rete e le risposte vengono in breve pubblicate e comunicate agli studenti via chat con software ingegnosi come «Shaw Ming» (che collega vari account sui social media).
A pagare il prezzo della corruzione sono spesso gli studenti più poveri e senza «amicizie in alto», come Mariam. Ma la ragazza un po’ come Malala si è rivelata un osso duro. Si è fatta ricevere martedì scorso dal premier Ibrahim Mahlab, che ha ordinato la creazione di una commissione di inchiesta indipendente e di un nuovo esame calligrafico.
Viviana Mazza (Corriere)
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