Milano 13 Settembre – Il ritrovamento in una grotta del Sud Africa, vicino a Johannesburg, dei resti di quella che sembra essere una nuova specie di ominide primitivo, ha rivoluzionato quanto finora conosciuto sull’origine e l’evoluzione della nostra specie.
Anche se la datazione dei reperti è tuttora in corso (potrebbero risalire da centomila fino a due milioni di anni fa) gli scienziati si stanno interrogando sulle caratteristiche di questo nostro antico “cugino”, battezzato Uomo di Naledi: chi era? Come viveva? E soprattutto: era una scimmia evoluta o già un individuo appartenente alla specie homo?
Metà scimmia, metà uomo, alto solo un metro e mezzo
La straordinaria scoperta di oltre millecinquecento reperti ossei, appartenenti almeno a quindici individui di ogni età, ha permesso agli scienziati di ricostruire con precisione l’aspetto dell’uomo di Naledi. Che sembra essere uno strano ibrido tra uomo e scimmia. Era alto solo un metro e cinquanta e aveva un cervello non più grande di un’arancia. Dunque con un cranio molto più piccolo del nostro.
Però le ossa degli arti sono sorprendentemente simili a quelle dell’uomo moderno. Le mani in particolare mostrano dita curve: secondo i ricercatori ciò indica che, oltre ad essere un abile arrampicatore, l’ominide riusciva anche a maneggiare facilmente oggetti e rudimentali attrezzi.
“L’uomo d Naledi si presenta come uno dei membri più primitivi del nostro genere” afferma John Hawks della University of Wisconsin-Madison, uno degli autori dell’articolo che descrive la scoperta “ma ha anche alcune caratteristiche davvero quasi identiche a quelle dell’uomo, tali da poterlo collocare nel generehomo”.
Conosceva già il fuoco?
Per raggiungere il luogo dove tra il 2013 e il 2014 sono stati rinvenuti i resti di homo naledi gli archeologi hanno dovuto percorrere una intricata rete di passaggi sotterranei, a trenta metri di profondità. Dato che la camera dove giacevano le ossa dista circa novanta metri dall’entrata principale della grotta “Rising Star” (questo il nome del sito archeologico) e sembra che i resti vi siano stati portati intenzionalmente centinaia di migliaia di anni fa proprio dai Naledi, gli scienziati hanno supposto che l’ominide potrebbe aver usato il fuoco per illuminare il percorso.
Anche un italiano nel team di ricercatori
Si chiama Damiano Marchi ed è un antropologo del dipartimento di biologia dell’Università di Pisa. Assieme ad altri cinquanta ricercatori guidati da Lee Berger dell’University of the Witwatersrand di Johannesburg ha condotto le analisi sui resti diHomo Naledi. In particolare ha studiato la morfologia degli arti inferiori dell’ominide.
Le ossa delle gambe, molto lunghe e slanciate, suggeriscono che l’uomo di Naledi era un abile camminatore. Anche la forma dei piedi, quasi identici ai nostri, indicano che poteva percorrere lunghe distanze. Un’altra caratteristica che lo accomuna con le specie più moderne di homo.
Un cimitero preistorico
“Non ci sono segni di predatori nelle ossa rinvenute, né tracce di una catastrofe” dice Lee Berger “e questo porta all’inevitabile conclusione che gli uomini di Naledi hanno deliberatamente portato e disposto i loro defunti nella camera sotterranea dove poi li abbiamo rinvenuti”.
Quindi l’ominide, benché avesse un cervello paragonabile a quello di un gorilla, conosceva e praticava il culto dei morti. “Un comportamento che è proprio solo della specie umana” continua Berger. “Non sappiamo i motivi di questo modo di agire, ma è indubbiamente un rituale che finora si credeva prerogativa solo degli homo sapiens e dei Neanderthal: abbiamo perciò scoperto un’altra specie conscia della propria mortalità e che affrontava grandi sforzi e pericoli per seppellire i defunti in buie e remote caverne”.
Il più antico cimitero umano risale a circa centomila anni fa. Se i futuri studi consentiranno di risalire all’epoca in cui vissero i Naledi, e se questa si rivelasse più antica, allora bisognerebbe retrodatare le origini delle usanze di sepoltura.
La camera dei segreti
Bambini, ragazzi, adulti e vecchi: le ossa ritrovate nella “Rising Star” appartengono a individui di ogni età. Il buono stato di conservazione e l’elevatissimo numero di reperti fanno sì che l’Uomo di Naledi sia già diventato “il più conosciuto membro fossile della nostra specie” affermano gli scienziati.
Che ritengono che la recente scoperta sia solo la punta dell’iceberg di quanto si nasconda nelle viscere del sottosuolo. “La grotta non ci ha rivelato ancora tutti i sui segreti” sostiene Berger “ci potrebbero essere centinaia se non migliaia di resti di Naledi sepolti lì sotto”.
Finora i ricercatori hanno ritrovato le ossa di quindici esemplari, ma sperano di portare alla luce ancora più reperti in modo da avere altri elementi per studiare le peculiarità della nuova specie e concludere il dibattito appena iniziato se collocare Naledi all’interno della specie umana o meno. I lavori continuano.
Angelo Piemontese (Panorama)
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