Milano 14 Settembre – Ché il problema non è mica lo “spottone“, come con la solita, atavica carenza di fantasia analitica titolano e strillano giornali e politici avversi. Lo spottone esiste da quando esiste la politica, Berlusconi ne ricavò perfino una forma d’arte, e se l’artigiano Renzi va a Flushing Meadows per l’Evento Italico, la finale Pennetta-Vinci nel tempio dell’Us Open, con le Willams e le Sharapova a fare da spettatrici, rimproverargli la strumentalità dell’atto è finta ingenuità, e delle peggiori. Il problema, piuttosto, è che se qualcuno, specie un leader politico, si mette a inscenare triangolazioni simboliche tra sport e politica, deve essere certo di padroneggiarle. Per stare al gioco in questione (oggi la mia categoria sommamente cialtrona si sveglia esperta in massa di tennis), deve essere certo di tenere il servizio, di non subire il break avversario, di non trasformare lo spottone in un boomerang. E il Renzi che mette il timbro governativo sull’apoteosi sportiva italiana in terra d’America ha, come direbbero i suoi spin doctor, qualche lieve problema di “narrazione“. Manca la sua, di apoteosi, perché l’analogia con quel che accade sul campo tenga, il cerchio commercial-politico si chiuda, e lo spottone riesca. Ne ha avuti di match point, Matteo Renzi da Pontassieve, ben più di quelli che la superba Vinci ha avuto con la leonessa Serena, e ben più facili. In fin dei conti, bastava cambiare qualcosa, spostare la realtà in là di un centimetro. Non diciamo una riforma al mese, come continua a ripetere lui da mesi, un ossimoro comunicativo. Ma insomma un po’ di disciplina allaBestia pubblica e parapubblica, magari non una dieta reaganiana, siamo intraprendenti ma non utopisti, ma almeno un contegno dell’abbuffata. Niente, spesa e debito in perenne aumento, con annesse lamentele surreali sull’ “austerità” imposta dalla Germania. Un minimo di freno al Fisco italico, vero sterminatore d’imprese e di portafogli e di progetti di vita. Macché, pressione fiscale totale addirittura aumentata, con la beffa degli 80 euro per classi di lavoratori già privilegiate finanziati col sangue dei piccoli autonomi, delle partite Iva, di precari a vario titolo. Qualche colpetto alla burocrazia borbonica e acefala che sequestra il Paese e le sue residue energie? Meno di zero, chiedetelo a chiunque conservi sufficiente follia da aprire una start-up alle nostre latitudini, veri schiavi contemporanei, e schiavi del solito Socio Occulto, lo Stato. Perché in cosa doveva consistere, la rottamazione, se non in un “cambio di verso” (come da hashtag d’ordinanza) sensibile dell’andazzo statalista e vessatore del tassa&spendi, vero trait-d’union tra la Prima e la Seconda Repubblica? Il renzismo doveva essere dinamite, se è scalpello, cacciavite, manutenzione della struttura e amministrazione dell’esistente, ci tenevamo Mario Monti, o al massimo la sua parodia, Enrico Letta.
Forse nessuno avrà un match point del genere, per molto tempo: l’attesa di un Paese che chiedeva solo di essere riformato. O meglio, della sua parte sana. Ma Renzi, come tutti gli inquilini succedutisi a Palazzo Chigi (ahimè, compreso il Cavalier Berlusconi) ha scelto ancora e sempre l’altra parte, quella corporativa, conservatrice, parassitaria. Ha fallito il suo match point, Matteo Renzi da Pontassieve, e nessun passante della Pennetta o nessuna discesa a rete della Vinci lo riscatterà. Gioco, partita, incontro.
Giovanni Sallusti (L’Intraprendente)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845