Ecco la finta spending review di Renzi: spese in aumento di 40 miliardi

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Milano 28 Settembre – Spesa pubblica in aumento costante: il bilancio statale non verrà sforbiciato e nei prossimi 5 anni crescerà di quasi 40 miliardi di euro con un’impennata del 4,82%. Le uscite passeranno dagli 826 miliardi del 2014 agli 866 miliardi del 2019. Resteranno invece bloccati gli investimenti pubblici, che resteranno stabili attorno ai 60 miliardi l’anno con un calo complessivo di 1,1 miliardi mentre aumenteranno le entrate, con il gettito fiscale in aumento di 107 miliardi dal 2015 al 2019 (+13,84%). Questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa che ha preso in esame le tabelle della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza approvato nei giorni scorsi dal consiglio dei ministri. PROMESSE MANCATE «Più passa il tempo e più constatiamo che c’è uno spread insopportabile tra le dichiarazioni e gli atti ufficiali – commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi – perché quello che viene annunciato, nelle interviste e nelle conferenze stampa, non trova conferma nei provvedimenti. Un esempio è proprio la spending review. I fatti dicono che il bilancio statale cresce e non diminuisce».

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Secondo l’analisi dell’associazione, in previsione non c’è alcun intervento rigoroso sul bilancio statale: le uscite saliranno costantemente rispetto agli 826,2 miliardi del consuntivo 2014. Nel 2015 saliranno a 831,5 miliardi, nel 2016 a 840,4 miliardi, nel 2017 a 842,6 miliardi, nel 2018 a 853,7 miliardi e nel 2019 a 866,1 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento della spesa pubblica pari a 39,8 miliardi (+4,82%). L’incremento è legato esclusivamente alle uscite correnti (acquisti, appalti, stipendi) che, nel quinquennio, aumenteranno di 43,2 miliardi (+6,24%).

IL TESORETTO DELLO SPREAD

In diminuzione, invece, la spesa per interessi sul servizio del debito che beneficerà verosimilmente della riduzione del divario di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi: il tesoretto legato allo spread sarà pari a 2,2 miliardi tra il 2015 e il 2019 (-2,97%), ma verrà di fatto bruciato dagli aumenti delle altre voci di spesa, piene di sprechi non toccati. Resta invariata, invece, la voce «uscite in conto capitale», che corrisponde agli investimenti pubblici, stabile attorno a circa 60 miliardi l’anno: nel quinquennio si registrerà una riduzione pari a 1,1 miliardi (-1,95%).

ENTRATE SEMPRE MAGGIORI

In crescita anche il gettito dello Stato: nel 2015 le entrate tributarie e previdenziali saliranno a quota 788,6 miliardi dai 777,2 miliardi del 2014; nel 2016 cresceranno ancora a 817,3 miliardi e poi a 843,2 miliardi nel 2017; nel 2018 e nel 2019 arriveranno rispettivamente a 866,6 miliardi e a 884,7 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento di 107,5 miliardi (+13,84%). Aumenteranno sia le entrate tributarie sia quelle derivante dai cosiddetti contributi sociali (previdenza e assistenza). Per quanto riguarda le entrate tributarie l’aumento interesserà sia le imposte dirette (come quelle sui redditi di persone e società, a esempio Irpef e Ires) sia le imposte indirette (tra cui l’Iva): le imposte dirette cresceranno in totale di 35,2 miliardi (+14,84%) mentre le indirette subiranno un incremento di 46,5 miliardi (+18,86%). Il sostanziale giro di vite su Irpef, Ires e Iva sarà pari a 81,8 miliardi (+16,89%). I versamenti relativi alla previdenza e all’assistenza cresceranno dal 2015 al 2019 di 23,3 miliardi (+10,78%).

FISCO PIÙ VORACE

L’incremento delle entrate tributarie e di quelle contributive farà inevitabilmente salire la pressione fiscale. Nello stesso Def, il peso delle tasse rispetto al Pil è infatti previsto in aumento: quest’anno si attesterà al 43,7%, superiore al 43,4% del 2014; nel 2016 salirà al 44,2%, nel 2017 e nel 2018 si attesterà al 44,3%, per poi calare leggermente al 44,0% nel 2019. Nello stesso arco di tempo, la crescita economia, stando alle previsioni del governo, sarà timida: il pil non farà scatti in avanti significativi ed è infatti dato in aumento dello 0,9% nel 2015, dell’1,6% nel 2016, dell’1,6% nel 2017, dell’1,5% nel 2018 e dell’1,3% nel 2019.

Leonardo Ventura (Il Tempo)

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