Milano 5 Ottobre – Se non fosse per la volgarità del gesto e per l’oscenità del suo messaggio, ci sarebbe quasi da ringraziare il senatore Lucio Barani, per averci scossi dalla noia mortale relativa alla discussione sul Senato, alle piogge di emendamenti e alle questioni di lana caprina sull’articolo 2, per non dire della singolar tenzone (da sbadigli compulsivi) tra Renzi e Pietro Grasso. Con quel suo cenno disgustoso, da tutti interpretato come una simulazione di fellatio indirizzata alla senatrice del M5S Barbara Lezzi, Barani è riuscito quantomeno a far soffermare i lettori dei quotidiani sulle pagine politiche per qualche attimo in più rispetto al tempo record con cui fino a ieri venivano sorvolate.
È condivisibile tutto quanto si è detto, per carità, il suo atto è degno di un «porco maiale zozzo» (citazione di Paola Taverna, senatrice grillina), o forse di «uno sporcaccione coi fiocchi» (cit. Erika Rossi, leghista), e sicuramente il sintomo di un Parlamento che, anziché essere luogo deputato alla Parola (non a caso, si chiama Parlamento), è ormai ridotto alle funzioni mimiche e gestuali, anche le più triviali. Dove, di orale, appunto, resta non la parola, ma semmai il sesso….
Epperò, se «Barani fa schifo» (come recita il messaggio icastico di un altro senatore pentastellato), è fuori di dubbio che la vera porcata non sia la sua. Ma quella di una riforma che intendeva abolire il Senato e invece non lo abolisce, che avrebbe dovuto assegnare al Senato un ruolo di rappresentanza di secondo grado e invece lo renderà nuovamente eleggibile, che lo rende inutile e potenzialmente dannoso (perché, ad esempio, continuerà ad avere voce in capitolo nelle leggi costituzionali, come quella appunto che lo sta “abolendo”). Ma, oltre al merito – l’ennesimopastrocchio di compromesso, come tutte le riforme renziane, che pure si volevano rivoluzionarie – anche il metodo con cui si arriverà all’approvazione di questa riforma è davvero becero. Il sì del Senato al suo stesso ridimensionamento passerà attraverso un accordo con i verdiniani di Ala(Alleanza Liberalpopolare per le Autonomie), all’insegna del trasformismo più spinto, e in nome di maggioranze variabili, fondate non sui temi che di volta in volta si votano ma sulle promesse che di volta in volta si fanno: quelle di posti e seggi. Visto che i senatori non potranno più occupare la poltrona del Senato dopo la riforma, si garantisce loro almeno una poltrona alternativa…
Ancor più della porcata Porcellum, che aveva già creato una strana forma di bicameralismo imperfetto, per cui chi aveva la stragrande maggioranza alla Camera rischiava di andare sotto al Senato, la grande porcata sta in questa riformina, che depotenzia il Senato ma non troppo, che lo rende semi-elettivo e semi-funzionale, che gli cambia il nome (Senato delle autonomie, d’ora in poi, per dargli un tono federale) e un poco i connotati (i componenti saranno i membri dei Consigli regionali: che poi, a pensarci bene, è un modo subdolo per confermare il centralismo a dispetto dell’autonomismo, portandoli tutti a Roma) e ne riduce i numeri (i nuovi senatori saranno un centinaio), ma lascia in piedi simbolicamente l’istituzione di Palazzo Madama anziché abbatterla definitivamente.
Di questa porcata bis, pare sia particolarmente orgoglioso Denis Verdini che, da ex macellaio, con i suini deve averci avuto a che fare. Quanto invece al senatore Barani, tra i grillini si sussurra che diventerà presto il protagonista del sequel del bestseller di Lidia Ravera: da Porci con le ali a «Porci con Ala».
Gianluca Veneziani (L’Intraprendente)
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