Milano 11 Ottobre – Altro che «decrescita felice». Quella è roba per pessimisti post sessantottini, abbrutiti dalle delusioni.
I «millennials», definizione americana entrata anche da noi nel gergo giornal-sociologico per indicare chi è nato tra gli anni ’80 e i 2000, sgobbano come se non ci fosse un domani. Il Censis li ha messi sul vetrino da laboratorio e ha scoperto che in 3,8 milioni non lasciano cadere la penna (o il tablet) quando termina l’orario di lavoro, e vanno avanti a spremersi. Soprattutto, l’istituto evidenzia che il dato è notevolmente superiore (del 17%) rispetto a quel che capita ai Baby boomers, cioè chi oggi ha tra i 35 e i 50 anni, la vecchia generazione X. E per di più oltre un milione di loro lo fa senza straordinari pagati.
Sarà che e quella nuova, la generazione Y, fin da quando ha avuto l’età per ascoltare i telegionali ha sentito parlare di crisi. Non hanno tempo per dubbi e crisi d’identità, le vecchie pubblicità in cui i bambini dichiaravano di voler fare l’astronauta non li rappresenta. Non sono cresciuti con l’interrogativo su quale lavoro fare, ma col dubbio se avrebbero mai avuto un lavoro. E al momento di scioglierlo il dubbio, si sono dati da fare più dei loro predecessori, a cui lasciano volentieri le smanie sul «downshifting», non sognano di mollare tutto per aprire un chiosco di gelati a Puerto Escondido né sono particolarmente «choosy», come li aveva sdegnosamente bollati Elsa Fornero. Anzi: quasi la metà svolge un lavoro con una qualifica più bassa della propria, contro il 21 per cento dei Baby boomers.
Ovviamente hanno il vantaggio di padroneggiare meglio le armi più adatte al mondo digitale, solo il 6 per cento non usa internet (contro la media nazionale del 30 per cento), sono sempre connessi con lo smartphone e ovviamente iscritti ad almeno un social network, che usano serenamente e creativamente, mentre i loro fratelli maggiori e genitori sbirciano i profili degli altri, postano le foto con i gatti ma intanto leniscono il senso di colpa incollando il testo di una catena di sant’Antonio che predica la «decrescita felice» pure dei contatti diFacebook, lamentando e lacrimando su quant’è meglio guardarsi negli occhi, mentre si ammazzano di playstation e tv.
Negli Stati Uniti la svolta è già arrivata: la fascia 18-35 anni ha superato nel 2013 quella dei 35-50enni come quota della forza lavoro totale. Un dato di fatto che suona incredibile nella vecchia Europa, e in Italia in particolare, dove invece è una fetta di popolazione che stenta ad affermarsi, spesso tenuta ai margini del mondo produttivo, impelagata nella trafila degli stage. E probabilmente è proprio questa una delle grandi differenze strutturali tra i due mondi dell’Occidente, noi che zoppichiamo e l’America che resta motore economico del mondo e soprattutto traino della creatività globale. Anche da noi del resto, la nuova realtà del mondo del lavoro ha indotto una reazione: non c’è solo chi si lamenta del precariato e scende in piazza. C’è anche chi se lo inventa un impiego: è il boom di imprese giovani, quasi il 10 per cento del totale, a tenere ancora attivo il saldo tra startup e cessazioni. I Millennials comprano di più on line, animano il mercato dell’usato e l’economia condivisa, dal bike-sharing ai viaggi di divano in divano. Sono pronti anche a una società più aperta, dalle coppie di fatto al testamento biologico.
E soprattutto, pur avendo voglia di migliorare la propria situazione, non vivono di lamenti: il 60 per cento è contento della propria vita e si aspetta che l’Italia possa ancora crescere.
Giuseppe Marino (Il Giornale)
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