Milano 23 Ottobre – Gli animali domestici pretendono diritti? Che paghino le tasse. Sarà l’esigenza di far cassa, sarà l’insana passione per la gabella, fatto sta che Comuni e società municipalizzate di tutta Italia si sono lanciati nella caccia al cucciolo, dando fiato alle trombe della tesi per cui ad ogni diritto corrisponde un dovere.
Nel caso specifico, quello di pagare imposte e balzelli.
Cani e gatti come fossero beni di lusso. E perciò padroni da spremere. La proposta arriva da Bolzano e non è una novità, dato che proprio nella città altoatesina nel 2010 era stata partorita l’idea di introdurre una tassa di possesso di 50 euro ad esemplare, se di piccola taglia. Spingendosi fino a 150 se di medie o grandi dimensioni. All’epoca il tentativo naufragò sullo scoglio delle proteste dei cittadini e della Lav, uniti nel ricordare che – per dirne una – chi si prende cura di un cane strappandolo alla strada, o comunque accudendolo con amore, non grava sui bilanci di Comuni e Asl, contribuendo per contro a ridurre le spese di gestione sopportate dalla pubblica amministrazione nel settore del randagismo e della prevenzione veterinaria. Cinque anni dopo, il furore tassatorio riesplode e torna a riempire le cronache. Il consorzio che riunisce i comuni della provincia bolzanina non ne fa mistero: «Non trovo giusto che la comunità paghi gli interessi di una fetta della popolazione finanziando le aree cani quando facciamo fatica ad istituire i servizi di trasporto scolastico», argomenta il vicepresidente dell’ente consortile, Alessandro Bertinazzo. Talmente fermo nelle sue convinzioni da non temere la provocazione: «Ultimamente avere un cane sembra una moda: bene, chi la sceglie può anche pagare qualche servizio per questa moda».
Di opposto parere, però, non solo le associazioni animaliste, ma anche Manuela Mescalchin, portavoce dell’Ufficio garante per i diritti degli animali: «Pensiamo a cosa possa voler dire chiedere 50 euro a cane per chi ne ha diversi. Ci sono altri modi per fare cassa, ad esempio iniziando davvero a punire i proprietari che non puliscono i bisogni dei loro cani». Quasi un suggerimento per gabellieri municipali in realtà per natura alquanto fantasiosi.
A Trieste, ad esempio, in questi giorni ferve il dibattito tra sindacati, azienda di trasporto ed enti locali sull’ipotesi di far pagare il biglietto dei mezzi pubblici pure a cani e gatti: la Provincia fa sapere di ritenere improponibile la cosa, ma la «Trieste Trasporti» conferma di aver avviato una riflessione sul punto. Un’altra amara trovata a spese degli amanti degli animali, però tutt’altro che originale. Men che meno inedita: a Milano sui mezzi Atm già pagano cani, gatti, uccelli. E pesci e pulcini trovano posto (per gentile concessione gratuitamente) solo se di proporzioni tali da poter essere ospitati «in contenitori non più grandi di una scatola di scarpe», recita il regolamento. A Roma il ticket è obbligatorio, insieme alla museruola e, se si viaggia in metropolitana, purché si trovi posto nel primo o nell’ultimo vagone. A Napoli, invece, si sale a bordo soltanto biglietto alla zampa, ma fino a un massimo di due animali per vettura. Perché a volte non basta neppure pagare, per vedersi assicurare un diritto.
Gianpaolo Iacobini (Il Giornale)
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