Due brevi considerazioni sull’accoglienza diffusa

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Milano 4 Novembre – In questi giorni, nelle Parrocchie, si discute spesso di accoglienza diffusa. Io sono Consigliere Pastorale della mia. Queste sono le due considerazioni che mi sono sentito in dovere di fare. Credo affrontino il problema da un’angolazione differente, rispetto a molte proposte sino ad oggi:

Ero povero e mi avete vestito (Mt, 25). Questo dice il Signore, ma anche: I Poveri saranno sempre con voi (Gv 12,1). Poi si parla di prossimo, di pellegrini. Del dono e della remissione del debito tra fratelli. Cosa potremmo mai obiettare, quindi, all’accoglienza diffusa? Come possiamo opporci ad aprire le porte delle nostre case a ci arriva dall’altra parte del Mondo? Nulla, ovviamente. Si tratta solo di fare un paio di osservazioni.

  • L’interpretazione letterale delle Scritture. E’ un tema affascinante. Lo scorso Sinodo è stato teatro di un approfondito dibattito sul tema della Famiglia e su quanto fedeli dovremmo essere alla Dottrina tradizionale, che su una lettura fedele delle Scritture si basa. Ci è stato detto, dal Papa in persona, di far trionfare il buon senso. Perchè a trionfare sia lo Spirito. Il che, nella Chiesa, succede abbastanza spesso. Salvo alcuni taboo, diremmo ancestrali. Il resto va contestualizzato. Interpretato. Capito. Direi per fortuna. Tra le cose che, per motivi vari, si sottrae, è l’usanza, diffusissima tra i popoli antichi, soprattutto tra quelli seminomadi del dovere di accoglienza. Un dovere che nasce quando i viaggiatori erano pochi. Con il vantaggio globale di poter riscuotere il medesimo favore, a propria volta. In un tempo in cui i viaggi erano molto pericolosi, molto rari e coinvolgevano pochissime persone. Accoglierle era, quindi, facile. Direi che se dovessimo riportare la cosa al giorno d’oggi, potremmo incontrare alcune differenze. Intanto chi arriva non chiede qualche notte di ospitalità, i tempi stimati sono di anni. Ed ha parenti. Amici. Sono in tanti, dai quattro angoli del Mondo, a sognare l’Europa. Quante porte si dovranno aprire? Non è dato sapere. Nel messaggio di Papa Francesco manca il limite. E mancando il limite, dovendoci preparare ad un flusso continuo nel tempo, inquantificabile nel numero, l’accoglienza diffusa è la scelta peggiore. Non si evitano affatto i ghetti, perchè alcuni luoghi attireranno sempre più di altri. A Milano l’accoglienza diffusa è una realtà dettata dall’esigenza. Non esiste una Prandina, per capirci. Ma porta Venezia è il luogo di elezione di una larga parte di loro. Ed è un disastro.Gli esempi sono molteplici. Ma il discorso di fondo non cambia: il ghetto non è una realtà meramente fisica, ma culturale. Quindi, per riassumere, dobbiamo con onestà domandarci: ne vogliamo accogliere il più possibile o li vogliamo accogliere in maniera diffusa? Per qualcuno la scelta costituirà in sé un tradimento dl Vangelo. Ma dobbiamo contestualizzarlo, dobbiamo immergerlo nello Spirito dei tempi. Dobbiamo essere realisti. Almeno questo mi pare di capire dalle prediche di Santa Marta. O mi sono perso qualcosa?
  • Sui termini che usiamo dobbiamo essere, invece, rigorosi. E la guida inoltrataci mi trova fortemente dubbioso. Migrante. E’ colui che migra. E non vuol dire nulla. Non ci dà la risposta alla domanda più importante: vuole restare da noi questa persona? Siamo solo una tappa intermedia? Sta scappando e finita la guerra tornerà a casa? E’ un termine rassicurante, che però nasconde la realtà di fatto. Dovremmo essere, come nel documento, ci si chiede precisi. Al momento l’unico termine corretto è immigrati. Perchè sono persone che dal loro paese sono venuti da noi. E stanzialmente risiedono. Forse, un giorno, magari, torneranno indietro. Non lo sappiamo. Quindi il termine migrante, per quanto molto politicamente corretto è altrettanto politicamente caricato. Ed andrebbe evitato. Ma il climax credo lo si raggiunga con il concetto di “profugo”. Il profugo è uno che scappa dalla guerra, ma non può dimostrarlo. Quindi, a logica, per norma e secondo ragione il profugo è un clandestino. I clandestini non hanno titolo per restare in questo paese. La differenza tra profugo e clandestino è che noi vogliamo credere che il profugo scappi da una guerra. Nel documento lo si dà persino per scontato. Ma se uno non può provare che sta scappando da una delle guerre (ed oggi non sono nemmeno così numerose) o da una persecuzione, perchè gli si dovrebbe credere a prescindere? Guardate che non si tratta di duritia cordis. Ma di sano realismo. C’è qualche miliardo di persone, come detto prima, che vorrebbe venire da noi. A quanti di loro crederemo senza prove? A quanti di questi apriremo acriticamente le porte? E quando decideremo, perchè, dovremo farlo, di cessare di credere a tutti su tutto, cosa diremo agli esclusi?

Mi scuso per la lunghezza, spero abbiate resistito sin qui. Un ultimo appunto. Se notate non ho parlato in alcun luogo di politica migratoria. Non ho minimamente tirato in ballo la sicurezza, il degrado, il valore delle case e tutto quello che si sente, spesso giustamente, citare come argomento contro l’accoglienza. Ho voluto restare nel solco della Chiesa. MA anche da lì, anche senza dimenticare il Vangelo, l’accoglienza diffusa è una pessima idea, soprattutto se vogliamo accogliere davvero chi ha bisogno.

Grazie per l’attenzione.

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