La villa è bene confiscato alla criminalità, ma il club per scambisti fa ricorso e non molla

Cronaca

Milano 16 Novembre – Giovedì notte caraibica, venerdì coppie gratis. E prima ci sono stati il sexy apericena e il compleanno di tale Gabriella, che dalla foto pare piuttosto ben disposta.
Ferve l’attività nel club per scambisti (e non solo) tra i più noti di Milano, perso nella nebbia dell’ultimo tratto di via Ripamonti. Quando la città si fa rada, campi, capannoni, un benzinaio, una serra, un magazzino di materiali da costruzioni, molte rotonde e infine il «Bizarre». Aperto nel 1999 in una villetta con giardino che da un anno e mezzo è un bene definitivamente confiscato: dunque proprietà dello Stato. Eppure ancora «privé». L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata dalla sede di Milano ha intimato lo sgombero, ma gli affittuari, com’è nel loro diritto, hanno fatto ricorso. E così anche il Bizarre rientra nella lunga lista dei beni sottratti ai criminali ma «occupati»: in città, secondo un recente report della Dia, sarebbero 259 su 1.301, di cui 131 ancora in uso agli stessi «mafiosi» o prestanome .

Non è questo il caso. Il personaggio da cui è stata recuperata la villetta, Pasquale Molluso, è uno dei maggiori «donatori» milanesi (di origine calabrese), per la quantità di case e terreni che gli sono stati presi. Con i proventi di traffici e truffe, aveva comprato una palazzina intera, ettari di campi, appartamenti, magazzini. E ville, come quella verso Chiaravalle, che è l’immobile più grande tra quelli confluiti nel patrimonio del Comune (161 in tutto). Molluso, però, non è stato mai condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso .

 Il club «Bizarre», che ha preso in affitto la struttura di via Ripamonti ormai 16 anni fa, non ha nulla a che vedere con le attività criminali del proprietario, è perfettamente in regola, con un contratto commerciale rinnovabile di sei anni in sei anni, e dà lavoro a sette dipendenti. Nonostante un po’ di cattiva pubblicità conseguente ai problemi giudiziari del locatario («Qualche socio si è spaventato»), ha mantenuto un buon ritmo, sostenuto anche da una consolidata fama. Il punto, però, è che l’attività non è consona. E non è tanto una questione di morale, quanto di legge che prescrive il riutilizzo sociale dei beni confiscati. «Eppure anche il nostro è un servizio alla collettività», osserva ironico Gianni C., presidente dell’associazione.

Se si potesse versare il canone a un’organizzazione benefica, ragiona Gianni, o se si potesse acquistare la struttura devolvendo i proventi a una onlus, il club sarebbe ben felice di farlo. Del resto, nota acutamente il presidente, rispetto a molti altri beni che confiscati vanno in malora, la villetta di via Ripamonti gode, grazie al via vai di soci, di una costante manutenzione, col giardino, la piscina, i divani, gli arredi interni rossi e oro che vanno costantemente «rinfrescati». Un terreno poco distante, già di proprietà di Molluso, sarebbe diventato un accampamento abusivo, racconta Gianni. E una struttura grande come quella di Chiaravalle, per esempio, ha bisogno di una manutenzione molto costosa.

Qui, invece, finché dura il contenzioso con lo Stato, ci penseranno i gestori del privé. E potranno anche essere anni, perché si tratta di un procedimento amministrativo, affidato alle bizze dei tribunali italiani. L’Agenzia milanese, che ha competenza su tutto il Nord, è per esempio reduce da un clamoroso smacco a Torrazza, in Piemonte: lo sgombero è stato intimato nel 2001, nel 2014 il Tar ha respinto l’impugnazione, ma quando, accompagnati dalla forza pubblica, i funzionari si sono presentati alla porta della villetta, il proprietario ha mostrato il ricorso al Consiglio di Stato. E a 14 anni dalla confisca, il bene resta tutt’ora occupato. (Corriere Milano)

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