Milano 10 Dicembre – Li consideriamo un branco di terroristi fanatici e sanguinari. E sono anche questo. Ma il «Daesh» o sedicente Califfato di Abu Bakr al Baghdadi è un’organizzazione che aspira a diventare un vero e proprio Stato, lo Stato islamico appunto, e che può contare su fondi cospicui. Un fiume di denaro. Per la società «IHS», l’Isis nel 2015 ha potuto disporre di circa 80 milioni di dollari al mese. Introiti, spiega Columb Strack, della società di analisi quotata in Borsa a New York, provenienti «dalle tasse sui servizi e sulle attività commerciali, agricole e industriali, su cui viene imposta un’aliquota secca del 20%. Il 43% dalla vendita di petrolio e gas dei giacimenti in Siria e Iraq. Solo il 7% proviene da donazioni o attività criminali, come il commercio di droga e antichità». Non solo. Il centro studi per la sicurezza «Fouran Group», che fornisce consulenze a governi e organizzazioni multinazionali, afferma che è quasi triplicato il numero di foreign fighters in Siria negli ultimi 18 mesi, raggiungendo una cifra tra i 27.000 e i 30.000, di cui 5.000 provenienti dall’Europa. E un rapporto di Amnesty International svela che l’Isis possiede ormai un «arsenale vasto e letale», grazie alla «mancanza di controlli sugli immensi flussi di armi verso» l’Iraq, in particolare durante l’invasione anglo-americana. Gli uomini delle bandiere nere sono così entrati in possesso di armamenti di fabbricazione Usa, russa, cinese ed europea, compresi sistemi antiaerei portatili, missili anti-tank e veicoli blindati, oltre a Kalashnikov russi e M16 americani.
Insomma, bisogna smettere di considerare l’Isis come una banda di pazzi, se si vuole sconfiggerlo. Il «Guardian» ha pubblicato un documento, redatto da un certo Abu Abdullah al Masri nell’estate 2014, che dimostra come l’Isis stia creando un esercito, un apparato burocratico, una scuola coranica e campi di addestramento per principianti, minorenni e jihadisti «esperti», un’economia indipendente e una sua politica estera ben definite sia nei riguardi dell’Occidente «miscredente, oppressore e sfruttatore», sia per regolare i rapporti con gli altri Paesi arabi. Nelle 24 pagine dei «Principi nell’amministrazione dello Stato islamico» si sottolinea che questo richiede uno «stile islamico di vita, una costituzione coranica e un sistema per metterli in pratica». L’autore spiega che nel 2006 (1427 per il calendario islamico) «l’America e i suoi alleati distrussero il progetto del Califfato» in Iraq e delinea lo sforzo dell’Isis in Siria dopo lo scoppio della rivolta anti-Assad, ripercorrendo il ruolo degli sciiti e degli «immigrati» musulmani (la maggior parte provenienti da Arabia Saudita e Maghreb) che raggiungevano il Paese per combattere contro il dittatore. Si passa, poi, ad analizzare il ruolo dell’educazione e dell’addestramento. Il progetto prevede la creazione di dipartimenti governativi, di un’autorità di controllo delle finanze, di altre incaricate di sovrintendere alla propaganda, alla formazione dei combattenti – tra i quali anche molti bambini, abilitati per ora solo all’uso di armi leggere – e all’amministrazione centralizzata del petrolio e del gas, nonché di fattorie per la produzione di cibo e fabbriche di attrezzature militari. Nei rapporti commerciali, il Califfato deve cercare di eliminare i «monopoli degli intermediari» e stabilire rapporti diretti e più convenienti. Per raggiungere tali scopi, sono necessarie regole severe e precise, che Abdullah al Masri elenca: «È proibito vendere il petrolio se non si è alleati del Califfo, ma si possono invece produrre e venderne i derivati dopo aver acquistato il petrolio dall’Isis; non è consentito scavare alla ricerca di oro o reperti antichi se non si ha un accordo con il Dipartimento delle Risorse, e tutto il materiale contrabbandato verrà confiscato nell’interesse del Tesoro»; è vietato, infine, vendere armi e «costruire fabbriche che producono armi senza avere uno specifico permesso» del capo militare della zona. Una parte finale è dedicata alla gestione dei media.
A differenza di al Qaeda, che non aveva ambizioni di controllo del territorio e di costruzione di un Grande Califfato sulle orme del vero Abu Bakr al Baghdadi, l’Isis è strutturato più come un esercito rivoluzionario di tipo maoista o nordvietnamita. Un’organizzazione sofisticata, capillare, fortemente strutturata. Uno Stato, insomma. Con le sue regole, i suoi divieti e i suoi bilanci. Uno Stato feroce, però, che sgozza, brucia vivi e butta giù dai balconi i prigionieri o taglia loro la testa, com’è accaduto ai cinque russi catturati dai miliziani e decapitati perché considerati «spie». Anche quello sovietico era uno Stato, però il suo capo, Stalin, ha fatto eliminare 11 milioni di russi.
Maurizio Gallo (Il Tempo)
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